L’imbalsamazione è quell’insieme di tecniche volte a preservare un cadavere dalla decomposizione. I primi ad avvalersene con buoni risultati furono gli Antichi Egizi, i quali ritennero che la conservazione della salma permettesse allo spirito del defunto di riappropriarsene in tempi successivi. 
L’antica credenza a quanto pare non ha affatto perso la sua popolarità col passare del tempo; anzi, il suo riverbero ha viaggiato nei secoli per arrivare intatto dalle piramidi avanti Cristo al Quirinale dopo Cristo. E’ qui infatti che è possibile incontrare il più grande imbalsamatore dell’epoca contemporanea. Giorgio Napolitano ha elaborato un raffinato sistema di tassidermia statale, ovvero la possibilità di mantenere intatta la pelle di un paese svuotandone l’interno di tutta la materia viva e sostituendola con materia inerte.
Il sistema vascolare e il sistema linfatico dell’Italia sono appositamente stati ripuliti da qualunque sostanza organico-politica, mediante la minaccia perpetua di putrefazione, e sono stati riempiti con la formaldeide delle Larghe Intese. L’imbalsamatore ha decretato che per l’Italia non vi fosse altra possibilità che quella di sopravvivere alla propria morte, tenendo in piedi la sagoma imbalsamata di se stessa, nell’attesa di un supposto aldilà nel quale riunire nuovamente le spoglie sintetizzate a un’anima lontana – o politica interna che dir si voglia – attualmente assente all’appello. L’imbalsamatore ha creduto così profondamente nelle sue ragioni e nell’appropriatezza del suo intervento da ricusare tutti quei segnali attraverso cui il corpo italiano dava ancora segni di vita. 
Quando uno specchietto è stato apposto davanti alla bocca del corpo dato per morto e il respiro di un terzo del Paese votante Cinque Stelle lo ha appannato, dimostrando come la morte fosse solo apparente, l’imbalsamatore Napolitano è venuto meno alla chiusura del suo laboratorio di formaldeide alla quale si accingeva, per tornare a tappare, stavolta con maggiore dovizia, gli orifizi della salma.
Nel sembiante amorfo del governo Letta ha perfezionato la sua opera, creando un’entità sintetica da parete, totalmente inabilitata a qualsiasi tipo di movimento; dopodiché ha fatto dono all’Europa della sua Italia imbalsamata, perfetta da appendere sopra un camino o per decorare una parete sguarnita della sala da pranzo. Dal muro di casa Europa, Italia ha giocato ai quattro cantoni (ribattezzandoli Governo del Fare), scambiando di posto leggi, decreti, parlamentari, senza di fatto spostare nulla; e, impossibilitata a spostarsi lei stessa dalla parete e non potendo dunque arrivare al salvadanaio, non ha mai realmente  messo mano ad una politica economica che esulasse dalla lista della spesa della famiglia Europa.
Dopo una morte apparente quanto bastava per farlo stare sereno, l’imbalsamatore è tornato a scalpitare all’ennesimo tentativo del corpo di rianimarsi: l’idea che il nuovo segretario di un partito da lui stesso con cura imbalsamato, pretenda di mettere bocca circa l’utilità dei suoi interventi chimici e si permetta di contestare la formaldeide stessa dalla quale si trova circondato, è un affronto alla sua arte che non può essere tollerato. L’apertura di una nuova fessura nella salma potrebbe sì far colare del liquido, ma potrebbe anche smentire una volta per tutte la morte accertata dell’Italia. 
 
E per un imbalsamatore allora sì che sono guai.
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