Fare cassa. Non importa come. Succede che, come sempre, a rimetterci siano i disgraziati. Così lo Stato biscazziere – non cambia se al governo c’è D’Alema o Berlusconi o Letta – si rivolge a persone affette da una patologia che si chiama gioco d’azzardo. Come? Con l’aumento delle Sale Bingo e, più pericoloso ancora, delle Videolottery (o Vlt), macchinette mangiasoldi come le Slot Machine che sono collegate in rete e hanno la possibilità di incassare, uniche nel loro genere, banconote da 500 euro.

E’ tutto scritto, letto e controfirmato, nella legge di Stabilità, quella che dovrebbe far tornare i conti dello Stato e rilanciare l’economia dell’Italia. Quel Paese che, a detta di coloro che governano, vede la luce in fondo al tunnel, ma non risulta abbia agganciato nessuna ripresa concreta. Così, Letta 145 milioni di euro conta di metterli in tasca grazie al gioco d’azzardo. Ripartiti in 40 milioni che dovrebbero rientrare tra il rinnovo delle concessioni ai soliti noti per nove anni, e 105, invece, dalle 7000 nuove videolottery che andranno ad aggiungersi alle 50.500 già esistenti. Letto, scritto e controfirmato, nonostante nessuno se ne sia accorto. La notizia è passata inosservata, sommersa da un grande calderone di norme che abbracciano di tutto e di più.

Le nuove slot online

Il mercato delle slot online. I colossi del settore non si sono fatti sfuggire l’occasione e hanno già chiesto le concessioni per le slot. Già prima della scadenza del 29 novembre, data in cui scadeva per le 12 società (Cirsa, Codere, Cogetech, Gament, Gamtica, Gtech/Lottomatica, Hbg, Intralot, Nts Network, Net Win, Snai, Sisal a cui aggiungere Bplus – che opera in proroga della vecchi convezione del 2004) la possibilità di presentare le opzioni preliminari per i titoli delle Vlt, tra il 60 e l’80 per cento dei diritti a disposizione delle compagnie storiche, mentre i tre nuovi soggetti assegnatari puntavano al maggior numero possibile. In linea teorica ognuna delle società aveva la possibilità di acquisire un numero compreso di diritti tra il 7 e il 14% delle new slot collegate alla propria rete, al costo di 15 mila euro ciascuno.

L’unico concessionario a fare l’en plein è stato Intralot Gaming Machines che ha rilevato i 770 diritti a propria disposizione. Segue un altro dei nuovi soggetti Nts Network, con 720 titoli su 910 disponibili, seguito da Sisal e Gmatica, che hanno entrambi rilevato 600 diritti (con il primo che poteva puntare a un massimo di circa 840 mentre il secondo a oltre 1100). Dopo di loro si posiziona Lottomatica Videolot con 500 diritti (su 720 circa a disposizione); l’ultima new entry NetWin Italia, con circa 400 diritti rispetto ai 725 a sua disposizione e infine Codere con 250 diritti (come Gmatica è il concessionario protagonista del maggiore incremento di new slot rispetto all’ultima gara). Non hanno esercitato la facoltà di acquisire titoli aggiuntivi Cogetech e Hbg, mentre Bplus, Gamenet, Cirsa e Snai, non avevano incrementato le proprie reti.

Il business delle sale Bingo in Italia non è mai decollato. Il primo a incentivare l’apertura delle sale fu il governo D’Alema. Spuntarono come funghi in tutte le città. A volte veri e propri villaggi del gioco. Molto americanizzate, moquette, tabelloni e cartelle stile tombola. Ma dietro il boom iniziale il fenomeno è sempre andato in discesa. Anche perché in quel caso la possibile vincita è sempre direttamente proporzionale al numero di giocatori. Il governo Letta, però, ha comunque colto la palla al balzo in tema di rinnovo delle concessioni. 200.000 euro da ogni società, altri 300 mila di anticipo come garanzia, più i canoni mensili. Per arrivare a cifra tonda, già che si trovavano a trattare la materia. “L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli procederà nel corso dell’anno 2014”, è scritto nella legge, “alla riattribuzione delle medesime concessioni attenendosi ai seguenti criteri direttivi fissazione nella somma di euro 200.000 la soglia minima per l’attribuzione di ciascuna concessione (da versare in due trance la prima alla presentazione della domanda, la seconda alla sottoscrizione della nuova concessione); durata delle concessioni pari a sei anni; 300.000 di garanzia bancaria ovvero assicurativa dovuta dal concessionario, per tutta la durata della concessione, a tutela dell’Amministrazione statale; il mantenimento dei requisiti soggettivi ed oggettivi, dei livelli di servizio e di adempimento delle obbligazioni convenzionali pattuite”. Gli unici ad accorgersene sono stati i parlamentari del Movimento 5 stelle, ma la questione è stata sollevata sul blog di Beppe Grillo e lì è rimasta. E solo quella delle sale bingo, non la parte che riguarda le macchinette che sono il vero business.

Letta, sempre nel principio di fare cassa e portare in Europa dei conti almeno presentabili, ha anche scelto la strada migliore per risolvere il contenzioso con le società che gestiscono il mercato. Secondo la Corte dei conti, come scritto nei giorni scorsi dal sito lanotizia.it  , già nel 2008 la procura della Corte dei conti aveva stabilito un risarcimento nei confronti dello Stato da parte dei re delle slot, fissato in 98 miliardi di euro per non aver collegato le macchine ai sistemi informatici del ministero. Una cifra da capogiro. Ma dovuta al fatto, secondo i magistrati contabili, che avevano operato senza nessun controllo. Il procedimento è ancora pendente, ma il governo ha chiuso con una richiesta di 700 milioni, neanche l’uno per cento di quello che avrebbe dovuto entrare nelle casse statali. Una sorta di sanatoria letta da più parti come un favore – l’ennesimo – alle società che gestiscono l’azzardo ormai non solo legalizzato, ma parastatale. Visto che gran parte delle entrate arrivano da lì. La terza azienda italiana, come Finmeccanica e la Fiat.

La tassa sui disperati

Per capire di cosa parliamo bisogna rifarci ai conti. E così si scopre che nelle scommesse legali gli italiani hanno speso 15,4 miliardi di euro nel 2003 e 79,8 miliardi nel 2011. Sedici volte il business che produce Las Vegas. In pratica parliamo di un incremento del 52% l’anno, per un fatturato che vale il 5% del Pil e mette il settore fra le prime industrie del Paese. In base ai dati dei Monopoli, in Italia la spesa media in scommesse per abitante maggiorenne è stata di 1.586 euro nel 2011: il 13,5% del reddito. Questo mentre crescono come funghi i nuovi casinò. Perché le sale bingo in realtà sono una semplice insegna: il business e tutto nelle macchinette mangiasoldi che, con le nuove concessioni, rischiano di aumentare ancora la spesa media. E ridurre sul lastrico le famiglie. Il tutto mentre i Comuni cercano di portare avanti la strategia contraria: disincentivare il gioco. In provincia di Reggio Emilia, nei mesi scorsi, è addirittura nata la struttura residenziale per curare i pazienti dall’azzardo compulsivo. Le Asl, a livello locale, investono perché ritengono la ludopatia una vera e propria malattia. Poi però arriva lo Stato a gamba tesa che scombina tutti i buoni propositi. Le regioni cosiddette virtuose, come l’Emilia Romagna, hanno aperto servizi per la cura da gioco in tutte le città. Non solo. Si sono spinti oltre. Le sale gestite dalle società dovrebbero esporre (il condizionale è obbligatorio) gli opuscoli su come ci si cura. La buona sostanza: entrate e giocate, è legale, lo Stato incassa e allo stesso però si lava la coscienza offrendo la cura.

Una sorta di larghe intese prima ancora che learghe intese si materializzassero sotto gli occhi di tutti. In principio fu il governo Berlusconi a comprendere che quello del gioco era un business da poter spremere. Ci si è tiffato dentro dD’Alema, ha proseguito ancora Berlòusconi: fu una legge del suo governo a stabilire che le concessioni avessero una durata di nove anni. Quello che il governo in loden di Mario Monti ha assunto a modello e che adesso prosegue con Enrico Letta, buon conoscente di Antonio Porsia che già nel 2004 finanziò con 15 mila euro la sua campagna elettorale. I signori del gioco d’azzardo si ritrovano anche tra gli sponsor della lobby che Letta guida da anni, Vedrò. Tutto naturalmente avviene per una serie di casualità. Il business è business. Anche se fatto alle spese dei poveracci che vengono riconosciuti come malati. Lo Stato si curerà di loro, prima però li svuota le tasche. E’ la regola del gioco e non conta niente se il governo sia targato centrodestra, centrosinistra o abbracci tutto l’arco politico e di schieramenti.

da Il Fatto Quotidiano del 16 dicembre 2013

Articolo Precedente

Anche Samorì indagato per crac Tercas: “Imprenditori controllavano la banca”

next
Articolo Successivo

Acea, per ora l’acqua romana resta pubblica. Caltagirone e Cdp alla finestra

next