Scrivere della suddivisione dei ruoli all’interno delle famiglie di oggi è rischioso: si può incappare in facili luoghi comuni o si può cadere nella tentazione di sminuire con troppa rapidità la figura maschile con stereotipi triti e ritriti.

Ciò nonostante, sentendomi ripetere, quasi allo sfinimento, quanto sia fortunata “ad avere un marito che in casa aiuta, cucina, pulisce”, qualche domanda sull’evoluzione dello status quo viene spontaneo farsela.

Mio marito non è di una razza geneticamente superiore, è solamente stato educato dalla madre a contribuire in parte alle mansioni domestiche e a diciotto anni, in odor di college, è andato a vivere da solo.

A scanso di equivoci giova ripetere che molti uomini delle nuove generazioni non hanno niente a che fare con i loro padri che, una volta finita la cena, si ritiravano sul divano davanti alla tv lasciando la moglie a riordinare la cucina. Padri che, cascasse il mondo, non cambiavano il pannolino ai figli.

Tuttavia, la diffusa e quasi sognante reazione di molte donne quando confrontano la loro situazione alla mia, mi fa pensare che in molte famiglie le cose non siano poi tanto cambiate rispetto a qualche decennio fa.

Il concetto di pari opportunità verte in maggioranza sulla garanzia dell’uguaglianza dei sessi soprattutto nella sfera professionale. Eppure se vogliamo parlare di una concreta parità, si dovrebbe contemplare anche la sfera privata, dietro alle porte di casa. Poter sradicare i malcostumi più radicati sarebbe l’inizio di una grande rivoluzione culturale.

Parlando con le mogli (quasi sempre lavoratrici anch’esse) dei rispettivi mariti assenti nella gestione della casa, le risposte più frequenti alle mie domande (“non cucina?”. Oppure “non ti aiuta a pulire la casa?”), lasciano intendere una mesta rassegnazione. Alcune arrivano a discolpare il proprio uomo con una frase dal sapore materno: “Proprio non è capace”. Quando invece rivolgo le stesse domande ai mariti, dalle loro repliche trapelano un malcelato orgoglio, un machismo neanche troppo velato e un sorriso beffardo da monello impunito.

E se il marito rientra dal lavoro più tardi rispetto alla moglie, sono tutti d’accordo: non può certo partecipare anche alle attività casalinghe! Quel che però lascia perplessi è che lo stesso ragionamento non vale nemmeno quando sono le mogli a tornare più tardi: si ritiene che la donna possa (e debba) svolgere attività sia fuori che dentro casa.

Così, aspettarsi che un uomo alle otto di sera si metta il grembiule per cucinare un piatto di pasta o prenda la scopa per dare una pulita, rimane per molte famiglie ancora fantascienza anche se immaginarlo possibile durante il fine settimana è una rivendicazione più che legittima. Ma nella mente di molti uomini è ancora salda la convinzione secondo cui aiutare la propria compagna nei lavori di casa, faccia perdere la propria virilità

Adattarsi a questo tipo d’uomo – per così dire “duro a morire” – richiede molta perseveranza e causa una buona dose di frustrazione, aggravate da un’atavica paura tutta femminile di perdere il proprio compagno e da un latente senso di insicurezza, frutto anche della competizione con l’altra figura femminile, venerata come una dea per le sue invincibili virtù di cuoca e stiratrice: la suocera.

Per crescere uomini emancipati c’è un grande bisogno di madri emancipate, capaci di educare bambini indipendenti e liberi. Ragazzi che diventeranno uomini forti e rispettosi, certi di non perdere la propria mascolinità nel dare un aiuto (non solo economico) alla propria famiglia.

Articolo Precedente

Telefono Rosa: addio Giuliana Dal Pozzo, rese politico l’ascolto

next
Articolo Successivo

AAA sessisti cercasi: la pubblicità progresso-regresso

next