La polemica sulla web tax, inserita nei giorni scorsi all’interno della legge di Stabilità, divide il Partito democratico. Nel digitale “siamo passati dalla nuvola digitale alla nuvola nera di Fantozzi“, ha dichiarato Matteo Renzi all’assemblea nazionale del partito, sottolineando che i temi “della web tax vanno posti in Europa” altrimenti “rischiamo di dare l’immagine di un Paese che rifiuta l’innovazione”. La tesi del neo segretario Pd è stata rilanciata da quattro parlamentari renziani: “All’economia non servono feticci che sulla tecnologia chiudono l’Italia in un recinto rispetto al resto dell’Europa”. Fino al lettiano Marco Meloni, che invita “il Parlamento ad eliminare la tassa”, perché rischia di “isolare l’Italia sulla nuova frontiera dell’economia e dello sviluppo”.

Ma nel Pd c’è anche chi è schierato a favore dell’imposta, che obbligherà i giganti del web, da Google ad Amazon, ad aprire la partita Iva per pagare il fisco italiano. “Il dibattito di queste ore dimostra una preoccupante subalternità economica e culturale alle multinazionali americane del web”, afferma il presidente Pd della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, dicendosi “semplicemente esterrefatto nel riscontrare la quantità di dichiarazioni fuori luogo”. E conclude con una stoccata alla fronda tricolore del no: “Che lo facciano gli americani lo capisco, che ci siano italiani che gli fanno da sponda è meno comprensibile. L’Europa purtroppo anche su questo tema è sfilacciata, ma noi siamo gli unici che incassano zero”.

Boccia non è l’unico favorevole alla tassa all’interno del Pd. E’ stato infatti il renziano Edoardo Fanucci a dare una forte accelerazione, con un  emendamento alla manovra, alla proposta già lanciata in un Ddl da Boccia. Contrario, invece, il centrodestra. “L’emendamento sulla web tax purtroppo passato in Commissione Bilancio, oltre che dubbio dal punto di vista della normativa europea, crea comunque in Italia, per l’Internet economy, un regime e un ambiente normativo diverso e peggiore rispetto agli altri Paesi europei, costruendo così un poderoso disincentivo agli investimenti esteri”, sostiene Daniele Capezzone (Forza Italia), presidente della commissione Finanze della Camera, definendolo “un caso di autolesionismo“.

Duro anche il commento di Mara Carfagna: “Saranno pure giovani, avranno rottamato la vecchia classe dirigente col colbacco ma le idee, quelle sullo sviluppo e la crescita economica, sono sempre le stesse: tasse, tasse, tasse. Di nuove nel Pd di Renzi ci sono solo le facce, il resto è roba vecchia”. E la web tax non piace neanche al Movimento 5 Stelle. “Produrrà svantaggi e nessun benefico per l’economia italiana, le imprese, i consumatori e finanche le casse dell’erario”, si legge in un post pubblicato sul sito di Beppe Grillo dal titolo ‘La follia della web tax del Pd’, che si chiede: “Perché Google dovrebbe far girare il suo motore di ricerca in Italia se questo significa per loro pagare più tasse? Semplicemente deciderà di non investire in Italia”.

Intanto alzano la voce anche le aziende americane che operano in Italia: “Gli ispiratori della web tax dovrebbero riflettere sul danno d’immagine per l’Italia provocato da questo provvedimento agli occhi della comunità internazionale”, avverte l’American chamber of commerce in Italy: rappresenta, dice il consigliere delegato, Simone Crolla, “l’ennesima dimostrazione di autoreferenzialità ed arroccamento del ceto politico italiano, che non consente l’apertura di un serio ed approfondito dialogo su questa materia, delicata e strategica per il futuro”.

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