Il 9 novembre 2014, questa la data fissata dalla Generalitat, il Parlamento catalano, per il referendum sull’indipendenza.

Due i quesiti – secondo le intenzioni degli indipendentisti – da riportare sulle schede elettorali: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato?”, “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente?”.

È questa la fuga decisiva verso la soluzione dell’indipendentismo secondo quattro partiti, con storie e culture diverse, che hanno rappresentanza nel Parlament: i moderati di Convergencia i Union del presidente della regione Artur Mas, Esquerra Republicana di Oriol Junqueras, i Verdi di Joan Herrera e la sinistra radicale dell’Unità Popolare di David Fernández.

Il 64,2% del voto parlamentare espressosi in favore dello strumento referendario è la giusta fotografia di una società che percepisce forte il sentimento nazionalista.

Il dato è di valenza storica per i nazionalisti, vissuto invece come un annuncio funesto per coloro che vedono nella separazione da Madrid un segno di debolezza politica e un ineludibile distanziamento economico dall’Europa.

La Commissione europea, del resto, ha già mostrato preoccupazione per la paventata disgregazione di un Paese di importanza primaria: se una regione di uno Stato membro si proclama indipendente – fa sapere Bruxelles – essa immediatamente si converte in Stato terzo, perdendo quindi lo status di paese comunitario.

Avvertimenti che inquietano gli imprenditori catalani che, per loro naturale vocazione, propendono per l’export e per l’internazionalizzazione dei mercati.

Nei prossimi mesi si vedrà come verranno risolte le questioni giuridiche preliminari alla consultazione indetta per il prossimo autunno. I precedenti in materia non incoraggiano, nel giugno del 2008 il governo dei Paesi Baschi, dove è da sempre forte lo scontro sul terreno del nazionalismo, indisse un referendum non vincolante sull’autodeterminazione. La consultazione fu bocciata dal Tribunale Costituzionale di Madrid perché mancante del permesso dello Stato centrale. La Corte rilevò pure che in elezioni significative al punto da toccare l’integrità territoriale della nazione il diritto di voto andrebbe riconosciuto all’intero corpo elettorale spagnolo.

Gli indipendentisti catalani, consapevoli degli ostacoli che frappongono politici e giuristi, pensano ad una proposta di legge con la quale il Governo di Madrid deleghi, come previsto dall’articolo 150 della Costituzione, alla Generalitat una funzione, tipicamente statale, qual è l’organizzazione di referendum.

I Popolari del premier Rajoy assicurano che non ci sarà alcuna consultazione, i socialisti catalani del Psc, di indole federalista, tentennano, potrebbero esprimere il “sì” sul primo quesito, un “no” secco sull’indipendenza.

Tra pochi mesi sapremo se il Football Club Barcellona giocherà ancora il “clasico” della Liga con il Real Madrid e se il governo centrale dovrà organizzare presidi consolari nel nascente Stato di Catalunya.

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