Lo spettro di un nuovo caso come quello del “piccolo Devid”, morto di freddo dopo poche settimane di vita nel Natale di tre anni fa, aleggia di nuovo su Bologna. Una bimba di un mese è stata infatti trovata morta nella sua culla in una casa popolare appena fuori dal centro di Bologna. Figlia di padre kosovaro e di madre macedone, entrambi ventunenni disoccupati, la piccola Vezira abitava con una gemellina, un’altra sorella di due anni e altre 11 persone, tra cui la nonna paterna di 41 anni. Il tutto in un appartamento di appena tre stanze. La morte è avvenuta verso le 5 di mattina di domenica 15 dicembre. Il sostituto procuratore Massimiliano Rossi, pm di turno in quelle ore, ha disposto l’autopsia e indaga per omicidio colposo contro ignoti. La procura tuttavia sembra scettica sulla possibilità che qualcuno in questa storia possa avere commesso dei reati che possono avere portato alla tragedia: “Probabilmente – ha spiegato il procuratore aggiunto Valter Giovannini – si è trattato di cause naturali, di una cosiddetta morte in culla”. Comunque le indagini proseguono.

A dare l’allarme domenica mattina era stata la madre, svegliata dal pianto dell’altra neonata che aveva fame. La giovane donna si è accorta solo allora che Vezira non respirava e ha chiamato subito il 118. I medici hanno potuto solo constatare il decesso. Subito nel palazzo è arrivata una volante della polizia: sul corpo della piccola tuttavia non ci sarebbero segni di violenza. Sembra essere stata già esclusa già una morte per il freddo, visto che la casa sembrava ben riscaldata.

“Spero non sia colpa di nessuno, altrimenti farò un gran casino”, ha commentato Ibrahim, il padre della bambina, fuggito 15 anni fa con la famiglia dalla guerra in Kosovo e rifugiatosi in Italia. Ai cronisti il padre ha raccontato che la bimba, nata all’ospedale Maggiore insieme alla gemellina a novembre scorso, non aveva problemi di salute e dopo il parto era stata visitata una volta, circa due settimana fa, dal pediatra. Ibrahim lavorava fino allo scorso anno come aiuto cuoco, ma poi ha perso il lavoro e non è più riuscito a trovare un’altra occupazione. “Ora cerchiamo di arrangiarci, ma non è che basta”, ha detto il ragazzo. La coppia di religione musulmana vive insieme a fratelli e genitori al quarto piano di una casa popolare vicino a Porta Lame.

La famiglia è seguita dai servizi sociali ed è aiutata a pagare l’affitto dell’appartamento popolare. Questo naturalmente ha scatenato subito le critiche dell’opposizione in Comune. “Questa morte grava sulla coscienza dei nostri amministratori e dirigenti Acer (l’azienda comunale per le case popolari, ndr). Se fossi un magistrato li indagherei per omicidio colposo per omissione di controlli”, ha detto il consigliere regionale della Lega Nord, Manes Bernardini. “C’è omertà istituzionale attorno alle condizioni delle case popolari”, ha proseguito l’esponente del Carroccio, dicendo anche che “sono situazioni che denunciamo da anni. Non si fanno controlli sulle residenze e su chi effettivamente le occupa. Tutti sanno, ma nessuno dice, né fa, nulla. Sulla vergogna delle abitazioni Acer la giustizia deve abbattere il muro del silenzio. E’ gravissimo che nessuno prima di oggi si sia mai reso conto di questa situazione. Il segno evidente di un’allarmante carenza di controlli”. Per Bernardini, “certi quartieri “sono diventati le favelas bolognesi”. 

Per la morte del piccolo Devid Berghi il 5 gennaio 2011 al momento è stato aperto un fascicolo conoscitivo in procura a Bologna, per approfondire il ruolo di due medici dell’ospedale Sant’Orsola e valutarne eventuali responsabilità. Il bambino morì di freddo a soli 23 giorni, dopo aver vissuto tra la strada e la Sala Borsa (la piazza coperta della città) con i genitori, e come nel caso di Vezira con un fratellino gemello e una sorella di tre anni. I genitori sono stati già condannati a due anni di reclusione per omicidio colposo, mentre due assistenti sociali del comune sono state assolte.

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