Se facciamo il gioco delle bandierine piantate in giro per il mondo, la Gran Bretagna stravince. Altre nazioni europee – dalla Spagna alla Francia alla piccola Olanda – hanno avuto i loro momenti d’oro da potenze coloniali, da oppressori e conquistatori. Nessuna, però, come l’Inghilterra è arrivata dappertutto. O quasi.

A ricordarcelo, lo studio dello storico britannico Stuart Laycock, dal titolo: Tutti i Paesi che abbiamo invaso – e i pochi in cui non siamo passati. Con un lavoro certosino, Laycock ha preso in esame la storia delle attuali circa 200 nazioni della terra, per scorgere quando e come i suoi connazionali hanno conquistato, invaso appunto, o comunque messo piede – spesso in modo non esattamente pacifico – in ciascuno di essi.

Esploratori, pirati, militari tutti guidati nel corso dei secoli dalla fedeltà alla corona, spintisi ben al di là dei già vasti limiti del Commonwealth, ovvero di quell’insieme di nazioni che ha delimitato il più grande impero del mondo almeno fino al sorgere della potenza americana. In totale, sostiene Laylock nel suo studio, gli inglesi hanno invaso qualcosa come il 90% dell’intero pianeta. Porzione entro la quale siamo compresi anche noi italiani, ovviamente, a cui i britannici sono venuti a far visita in veste di alleati alla fine della Seconda guerra mondiale.

A rimanere fuori, invece, sono giusto una ventina di Paesi, tra cui Svezia e Lussemburgo in Europa, Bolivia, Paraguay e Guatemala in America Latina. E poi Burundi, Chad, Congo, Costa d’Avorio e Mali in Africa, fino alla Mongolia e qualche altra distesa di terra nelle steppe dell’Asia centrale. Più di un caso citato da Laylock nel suo libro è poco conosciuto. Quello dell’Islanda, a esempio, che fu invasa dalla marina britannica nel 1940 dopo il suo rifiuto di unirsi alle forze alleate, o di Cuba, che fu temporaneamente occupata a metà del XVIII secolo prima di essere definitivamente ceduta ai “legittimi” colonizzatori spagnoli. Certo, non sempre i criteri seguiti dallo storico per stabilire quale Paese è stato invaso sembrano infallibili. Un esempio tra tutti è quello della Russia. Laylock sostiene di aver trovato traccia di una missione militare britannica che alla fine della rivoluzione del ’17 si sarebbe stabilita 50 miglia dal confine con la Mongolia. Di più, confessa, non è dato sapere. Ma in ogni caso come invasione sembra un po’ pochino.

Nel risiko della storia, quella che proprio la Russia ha recentemente definito “una piccola isola a cui nessuno dà ascolto” – provocando la risposta piccata di Cameron – ha un primato tutto suo. Buono o cattivo che lo si possa giudicare, naturalmente, dato che sempre di “invasioni” parliamo, anche se non necessariamente “barbariche”. Così c’è poco da sorprendersi se oggi Londra è la metropoli più “mondiale” d’Europa. E se proprio l’inglese, o forse quella versione di esso talvolta definita broken English (l’inglese rozzo ed elementare), non è più la lingua degli invasori, ma quella che molti di noi usano per comunicare nel mondo globale.

il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2013

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