Comprendere le dinamiche politico sociali in un paese come l’Italia è compito arduo, da sempre. Per la mia generazione, per quelli nati dopo il 1990, le difficoltà sono nettamente maggiori, dovute ad un’informazione che negli ultimi anni è sempre meno libera. Con i dovuti distinguo, alcuni Stati hanno sviluppato una versione aggiornata della propaganda governativa che aveva appoggiato guerre, colpi di stato e politiche inique.

Una propaganda 2.0 più subdola e quindi più efficace. Anche le stesse dinamiche politico economiche non possono essere previste poiché non seguono più la logica dell’interesse collettivo ma quella degli affari. Molto spesso risulta difficile a priori ipotizzare le manovre di un politico un banchiere o un mafioso, anche perché spesso sono la stessa persona. Spiegare che il conflitto d’interessi mina la natura stessa delle democrazie è troppo difficile da capire.

In ogni caso l’articolo 21 non viene rispettato e i pochi che si sforzano di fare il proprio lavoro vengono affrontati come oppositori politici e non come giornali. Sembra quasi che la caduta del muro di Berlino non abbia segnato un reale cambiamento nelle coscienze civili e un reale sovvertimento delle dinamiche sociali, bensì una riorganizzazione delle corporation e delle forze governative o autarchiche.
Quelle che sono rivendicazione fisiologiche di equità sociale sono state affrontate in maniera diversa dagli Stati del G8 e dalle nuove potenze emergenti, in quasi tutti gli Stati, spontaneamente o grazie al cannibalismo americano, i potenti hanno mantenuto e rafforzato il potere, cavalcando l’onda capitalista per aumentare il divario tra loro e il popolo.

Non possiamo dire “mi vergogno di essere italiano” come disse Corona, figlio dell’ultimo ventennio e orgoglioso esponente del “garantismo criminale” sdoganato da Berlusconi. Non possiamo scappare e abbandonare la nave come qualcuno ha fatto. Altrimenti c’è il rischio che, come Schettino, finiamo per accontentarci di aver salvato il salvabile- tranne l’onore- condannando la nostra amata Italia ad essere per sempre “mafialand”.

Alessio Albertini

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