L’Inps ha tutti gli strumenti per fornire ai lavoratori italiani una stima precisa della loro futura pensione. Ma ministero e istituto di previdenza mantengono un silenzio colpevole, penalizzando così i cittadini che più hanno bisogno di quelle informazioni. I rischi per la stabilità del sistema.
di  e  (Fonte: lavoce.info)

Un calcolo possibile per l’Inps

Nei giorni scorsi il ministro Giovannini ha dichiarato che per il momento proprio non se ne parla di mandare rendicontazioni a tutti i lavoratori italiani sullo stato dei loro versamenti all’Inps e, soprattutto, di fornire loro una previsione sulla pensione che possono attendersi in futuro. Più volte abbiamo richiamato l’importanza che i lavoratori vengano aiutati a districarsi nel caos normativo delle riforme pensionistiche e accompagnati con una adeguata informazione dell’effetto dei cambiamenti sui loro diritti pensionistici.

L’Inps è depositaria dell’informazione sui versamenti individuali, conosce meglio di chiunque le norme che si applicano a ciascun individuo, è in grado di fare una stima delle carriere di ogni individuo dal momento corrente fino a quello in cui andrà in pensione, sa quale è l’algoritmo che lega i contributi di ciascuno alla pensione a cui avrà titolo. Sono conoscenze e calcoli complessi per la maggior parte delle persone. Anche noi che facciamo gli economisti di mestiere non abbiamo difficoltà a confessare che abbiamo una idea molto vaga della pensione che otterremo. Non sono invece calcoli complessi – o la complessità può essere superata – per una istituzione depositaria per funzione di tutte le conoscenze necessarie allo scopo. Che i lavoratori beneficino da questa conoscenza è ovvio. Avere un’idea, la più precisa possibile, della pensione consente a ciascuno di pianificare i propri risparmi. Se è troppo bassa, si può decidere di partecipare a un fondo pensione, lavorare di più, risparmiare di più. E non trovarsi a dover stringere la cinghia (o anche peggio) da vecchi, quando si scopre di aver erroneamente pensato di ottenere un assegno più elevato. Ma è cruciale anche per la solidità del sistema pensionistico. Se i lavoratori non accumulano abbastanza risparmi privati perché credono che avranno una pensione elevata, non saranno in grado di condurre una vita decente, obbligando lo Stato a intervenire per limitare l’indigenza. Il rischio, evidenziato anche nel recente rapporto Ocse sulle pensioni, pone il presupposto per un buco nei bilanci futuri, e costituisce una minaccia per la stabilità del sistema. Una classe dirigente degna di questo nome, un ministro responsabile, un presidente dell’Inps che interpreta il suo ruolo avrebbero già agito.

Un silenzio colpevole

Da un po’ di tempo, l’Inps-Inpdap ha tutto pronto per recapitare ai contribuenti le cosiddette buste arancioni già richieste più di dieci anni fa su questo sito. Esistono già i programmi in grado di rendicontare i contributi versati e di fare previsioni sulle pensioni future. Sei mesi fa in un incontro pubblico – presente uno degli scriventi – il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, disse che l’istituto era in grado di procedere, mancava solo l’autorizzazione del ministro Giovannini, che però era d’accordo. In un altro incontro  dieci giorni fa, ministro e presidente dell’Inps si sono impegnati a procedere nel giro di poche settimane. Invece passano i mesi e l’operazione viene rinviata. Forse si teme che la responsabilità delle riforme degli anni passati, che hanno reso meno generoso il sistema, venga addossata a chi per primo spedisce le buste. Oppure si teme di svelare le grandi disparità di trattamento che si sono consumate nel passaggio da retributivo a contributivo e nel cambiamento dei requisiti, tra scalini e scaloni, per l’accesso alle pensioni d’anzianità. Oppure, ancora, si ritiene – ed è l’interpretazione più benevola – che una corretta informazione sui trasferimenti operati dalla previdenza (il fatto che i contributi servono a pagare le pensioni di altri) avrebbe corrotto il patto intergenerazionale implicitamente realizzato dalle pensioni pubbliche.

Fatto sta che il silenzio consapevole e colpevole dei Governi passati e ora di quello in carica ha costi elevati perché alimenta paure che potrebbero benissimo essere evitate con una corretta informazione. Perché è vero che le pensioni future saranno più basse di quelle erogate sin qui, ma pur sempre in grado di rappresentare fino al 60-70 per cento dei redditi da lavoro del lavoratore medio. Tuttavia, per i lavoratori precari, con carriere molto discontinue e bassi salari, si porranno problemi seri. Dire loro per tempo cosa li può aspettare è molto utile.

Meglio la busta o la simulazione?

La scusa – perché di questo si tratta – trovata ora dal ministro Giovannini è singolare: gli italiani non sanno la matematica e quindi non capirebbero ciò che verrebbe loro mandato nella busta arancione. È vero che molti italiani non sono a loro agio con i numeri e hanno difficoltà a decifrare estratti conto e, a maggior ragione, una previsione della pensione, come mostrato dall’indagine Piacc. Ma crede il ministro che per queste persone sia più semplice fare una simulazione usando l’area messa loro a disposizione nel sito Inps “(…) che educhi e consenta alle persone di fare simulazioni più che dire: ecco il tuo destino è segnato e non puoi più fare nulla” secondo quanto ha dichiarato al Sole24-Ore?

A nostro avviso no. Primo, in Italia una quota rilevante di persone non ha accesso alla rete.Sono le più povere, meno informate, più bisognose di conoscere e di sapere. E non avranno mai accesso allo strumento che consente al lavoratore di simulare la propria pensione e all’Inps di lavarsene le mani. Caro ministro, come ve la cavate con questi lavoratori? Come se la caveranno loro?
Secondo, l’informativa assistita serve proprio perché molte persone difettano della capacità di fare calcoli. Fare una simulazione in proprio, anche con l’aiuto del computer, presuppone comunque la capacità di leggere il risultato della simulazione: non crediamo che sia più semplice che leggere la busta arancione. Ovviamente dipende da come le cose vengono presentate, ma questo vale tanto per l’output della simulazione fatta in proprio quanto per il contenuto della busta arancione: si può comunicare una previsione in modo semplice e comprensibile, se si vuole. Terzo, bene avere un programma di simulazione a disposizione. Ma poiché la simulazione deve essere fatta su base volontaria (è un potenziale servizio messo a disposizione), non c’è modo di assicurarsi che le persone la facciano. Ancor meno che la aggiornino di tanto in tanto quando il loro quadro si modifica, perché accumulano versamenti, cambiano le norme, si rivede la previsione di crescita dell’economia o altro – elementi tutti importanti per prevedere l’ammontare della pensione. Tutto ciò non si verifica con l’informativa mandata dall’Inps che deve arrivare a tutti e che deve arrivare, poniamo, una volta all’anno con una previsione aggiornata.

Quarto, dare una previsione non vuol dire emettere una condanna; anzi insieme alla previsione noi crediamo che i lavoratori debbano ricevere anche informazioni su come mettere riparo a una potenziale scarsità di benefici pensionistici. Illustrare loro l’esistenza dei fondi pensione, come funzionano, i lori vantaggi fiscali e così via, dovrebbe essere parte integrante della busta arancione. In Svezia contiene informazioni anche sull’andamento della previdenza integrativa. L’informativa guidata deve servire per promuovere la previdenza complementare, che non decolla principalmente per ostacoli informativi. Sarebbe un’iniziativa da gestire insieme alla Covip. A questo proposito, ricordiamo al ministro che quell’organismo è senza presidente dall’inizio dell’anno e manca un membro del board, oggi retto da un singolo componente. Di fatto è non operativo proprio quando dovrebbe essere nel pieno delle sue funzioni. È così difficile trovare un presidente capace per la Covip? È così difficile rimpiazzare un suo consigliere?

Come altro definire questo atteggiamento se non “ignavia di Stato”? Chi – come i presidenti Inps e i ministri del Lavoro succedutisi finora (eccezion fatta per il ministro Fornero che si è mossa in controtendenza, ma è stata bloccata dal suo presidente del Consiglio proprio mentre stava per mandare le buste arancioni) – rifiuta di prendersi la responsabilità di informare i lavoratori italiani delle prospettive pensionistiche, per paura di essere loro stessi travolti da una crisi di consenso, non assolvono per ignavia al dovere a cui li chiama il loro ruolo. Agli occhi di Dante, gli ignavi occupano una posizione così bassa nella scala della considerazione da non meritare nemmeno l’attenzione del ragionamento e dello sguardo. Al contrario di Dante noi abbiamo volto sguardo e ragionamento verso chi potrebbe macchiarsi di quel peccato, con la speranza, mettendoli in guardia, di evitare che di loro si dica un giorno “(…) non ragioniam di lor ma guarda e passa”.

 

Bio degli autori 

Tito Boeri

Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it. Segui @Tboeri su Twitter

Luigi Guiso

Luigi Guiso è professore di Economia allo European University Institute, Firenze. Ha lavorato come economista per molti anni al Servizio Studi della Banca d’Italia occupandosi di macroeconomia, politica economica e analisi della congiuntura. E’ fellow del CEPR e direttore del Finance Program, e fellows del Luigi Einaudi Institute for Economics and Finance. Gli interessi correnti di studio e di ricerca vertono sui campi dell’economia finanziaria, delle scelte finanziarie delle famiglie, della macroeconomia, dei legami tra economia e istituzioni. temi recenti di ricerca includono l’effetto della cultura sull’economia e le origini del capitale sociale.

Articolo Precedente

Indesit: il sindacato nella morsa tra realismo e forconi

next
Articolo Successivo

Su LinkedIn siamo tutti ‘responsabili’. E se la rete cercasse degli ‘inesperti’?

next