Paragonare il delatore di epoca fascista che denunciava un dissidente politico con colui che denuncia reati nell’interesse pubblico (il whistleblower) è come paragonare un militante fascista a Edward Snowden, l’ex tecnico della Cia che ha rivelato l’esistenza di un programma di controllo delle comunicazioni dei cittadini di tutto il mondo. A prescindere dalle motivazioni personali, le azioni del primo tutelano gli interessi ristretti di un’ideologia, mentre quelle del secondo tutelano interessi universali, come il diritto alla privacy. 

In questo senso è un whistleblower il dipendente che denuncia la commercializzazione da parte dell’azienda in cui lavora di farmaci dei quali non vengono resi noti i probabili gravi effetti collaterali oppure il dipendente che denuncia la vendita da parte della banca in cui lavora di titoli ad alto rischio a clienti con scarsa conoscenza degli strumenti finanziari. La denuncia di una condotta illecita (whistleblowing) differisce dalla delazione non soltanto perché permette la tutela di interessi pubblici, ma anche perché l’identità di chi denuncia è tendenzialmente conosciuta e le denunce vengono verificate.  

Perché parlo sempre di whistleblowing? Non esiste una traduzione italiana del termine inglese? Purtroppo no, perché la denuncia di un illecito non è diffusa nella nostra cultura e chi ha il coraggio di denunciare viene paradossalmente perseguitato (vedi il caso di Enrico Ceci). Non è quindi possibile adottare un singolo termine e l’espressione più breve e generica utilizzabile è quella di “segnalazioni di illeciti nell’interesse pubblico”. 

La parola “delatore” non è l’unica ad essere adoperata impropriamente come traduzione di whistleblower, gli organi di stampa (italiani e non) usano anche spia, spifferatore, talpa, ecc. Questo tipo di traduzioni hanno due elementi in comune: hanno una connotazione negativa e sono assolutamente scorrette. Per un interessante approfondimento sul problema di traduzione si veda questa discussione.   

In Italia il modo in cui le notizie di stampa sono riportate favorisce spesso la tendenza ad utilizzare libere (quanto fuorvianti) interpretazioni dei due termini inglesi. Si consideri ad esempio un recente articolo del Corriere della Sera online relativamente al caso Snowden; il pezzo titolava: “Datagate – Parla la ‘talpa’ che si nasconde a Hong Kong”. Non solo si è ricorsi ad un termine scorretto – talpa in luogo di whistleblower – ma si è altresì connotato Snowden e la scoperta di tali fatti in maniera esclusivamente negativa. Nell’altro celebre quotidiano nazionale, La Repubblica, si è arrivati persino oltre, scrivendo: “l’episodio che disgustò Snowden e cominciò a trasformarlo da talpa che scavava in campi altrui a roditore dentro il proprio”. Elemento comune a chi utilizza questi termini è la mancanza di una conoscenza approfondita del fenomeno. 

Nel Regno Unito, dove il whistleblowing esiste dal 1998, i sondaggi indicano che oggi il 72% dei lavoratori inglesi considera il termine in maniera positiva o neutrale. Anche negli Stati Uniti il whistleblowing è ormai percepito positivamente, ma non dobbiamo credere che ciò sia connaturato alle due Nazioni. In tutti i Paesi del mondo, infatti, i whistleblower hanno inizialmente subito sempre ed esclusivamente ritorsioni e licenziamenti, il motivo è semplice: sono generalmente molto fastidiosi per chi è al potere. Dire che la mancata introduzione del whistleblowing in Italia è dovuta esclusivamente alla mentalità del popolo italiano è una scusa che ormai non sta più in piedi. Con incentivi economici e una tutela adeguata tutto può cambiare.

Una volta istituite precise regole, che ne impediscano gli abusi, il whistleblowing è uno strumento a tutela dei cittadini, pericoloso solo per chi è al governo, perché gli impone di non abusare del proprio potere. Snowden (uno dei più famosi whistleblower) ne è stata la dimostrazione lampante attraverso la sua denuncia del sistema americano con cui venivano controllate le comunicazioni dei propri cittadini e di quelli di altri Paesi. 

Sicuramente in Italia non basterebbe introdurre questa legge, sarebbe necessario anche agire sull’atteggiamento culturale, ma come in tutti i Paesi. 

Nel Regno Unito senza il lavoro di sensibilizzazione sul tema da parte della fondazione indipendente Public Concern at Work, nata nel 1993, probabilmente non sarebbe mai stata introdotta una legge sul whistleblowing nel 1998. Quel 72% di lavoratori inglesi che oggi considera positivamente il whistleblowing è maturato in numerosi anni di sensibilizzazione. Negli Stati Uniti un simile ruolo è svolto dal National Whistleblower Center, organizzazione indipendente nata nel 1988. Gli Stati Uniti rappresentano forse uno degli esempi più chiari di come il lavoro fatto sia stato tanto (hanno recuperato 24 miliardi di dollari grazie al whistleblowing fra il 1988 e il 2012), ma vi è ancora molto da fare. 

Nel 2012, la nota multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline ha dovuto pagare 3 miliardi di dollari al governo americano dopo che un whistleblower aveva permesso la scoperta della sua truffa.

Tuttavia, nel 2013 il caso Snowden ha mostrato un punto di debolezza della democrazia americana: colui che ha avuto il coraggio di denunciare il sistema americano di controllo illegale di comunicazioni è stato definito da Nancy Pelosi, una delle donne più influenti nella storia politica americana, un criminale. Negli Stati Uniti l’interesse di politici e imprenditori a mantenere il potere è forte, ancor più che in Italia, ma questo non ha impedito l’introduzione di leggi che in molti casi hanno ben funzionato. 

Se troviamo la forza di iniziare un percorso di forte cambiamento, eleggendo figure politiche in grado di introdurre una legge capace di colpire la zavorra del nostro Paese, capace di colpire i loro pari, avremo ancora una speranza, una concreta speranza, di vedere l’Italia risorgere dalle proprie ceneri.

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