Torna a traballare il fortino di Vasco Errani dopo la valanga di voti che Matteo Renzi ha conquistato alle primarie anche nella ‘rossa’ Emilia-Romagna (ben 63 degli 89 seggi disponibili per l’assemblea nazionale vanno ai renziani). Appena è risultato chiaro che il sindaco di Firenze si era imposto da Piacenza al mare con il 71% del consenso degli elettori, con un Gianni Cuperlo-flop bloccato al 15% e Pippo Civati subito a seguire col 14%, l’assalto al governatore è partito all’insegna di un fuoco incrociato che, dalla Romagna all’alta Emilia, ha presto assunto i toni dello sfogo.

Non è un caso che l’offensiva, anche alle attuali segreterie di partito non renziane elette ai congressi provinciali di appena un mese fa, si sia interrotta più che altro per iniziativa degli stessi dirigenti vicini al sindaco di Firenze. È il caso di Matteo Richetti, già presidente dell’assemblea di viale Aldo Moro, che d’intesa col neo segretario nazionale ha voluto mettere al bando ogni tentazione revanscista: per ora nessuno caccia nessuno, è la linea confermata anche in queste ore. “Il tema non è cacciare qualcuno. Se si affronta il post-primarie come un regolamento di conti, allora non si è capito nulla ore”, taglia corto Richetti.

Sta di fatto che dopo aver perso le primarie (e un probabilissimo incarico ministeriale se Pierluigi Bersani fosse diventato premier) un anno fa, Errani sa che dovrà parare altri colpi per cercare di arrivare in fondo al suo terzo mandato nel 2015. Nelle stesse ore in cui Renzi a Roma annunciava la sua nuova segreteria- nella quale entrano con incarichi di peso gli emiliano-romagnoli Stefano Bonaccini (Enti locali), Filippo Taddei (Economia) e Maria Elena Boschi (Riforme)- Errani ha subito cercato di ‘aprire’. Promettendo un contributo “utile e di equità” al Pd di Renzi dall’Emilia Romagna, Errani chiarisce che “a me, che ho sostenuto Gianni Cuperlo, è chiaro che il forte consenso ottenuto da Matteo Renzi dice che Renzi ha saputo interpretare l’urgenza di una spinta al cambiamento che riguarda tutti”.

L’assalto all’apparato è partito soprattutto dalla Romagna, dove il sindaco di Forlì Roberto Balzani, che sembra avere un conto aperto col governatore, l’ha buttata subito sull’amministrativo: “Non è immaginabile che questioni come l’Ausl unica o il piano regionale dei rifiuti- ha attaccato il sindaco forlivese – possano essere gestiti dall’élite regionale come se nulla fosse accaduto, con il solito approccio politico-burocratico dall’alto, da paternalismo consociativo e ‘dolce’. Non è che, passata la festa, ci rimettiamo la maschera del ‘tortello magico’ e ricominciamo daccapo. So che molti vorrebbero così, perché è loro abitudine e perché non sanno comportarsi diversamente”.

Qualche ora dopo a giocare in difesa è toccato alla neo capogruppo in Regione Anna Pariani, colei che ha rimpiazzato Marco Monari dopo gli strascichi dell’inchiesta sulle spese pazze: “Continuiamo il nostro lavoro seguendo il programma di mandato”, ha detto Pariani segnalando gli ormai consumati ‘pilastri’ del welfare, della sanità e della ricostruzione post-sisma da portare avanti.

Parole nette, in senso opposto, le ha pronunciate anche il presidente della Provincia di Rimini Stefano Vitali, che ha ricordato anche a viale Aldo Moro che “c’è una fortissima richiesta di rinnovamento della classe dirigente ma soprattutto la domanda prorompente di non chiudersi ciecamente in quella che è rimasta la forza cosiddetta organizzata del Pd”. E visto che nella provincia di Rimini Renzi ha ottenuto il 71,5%, con un Cuperlo battuto addirittura da Civati (13 contro 12%), Vitali ha applicato il concetto alle segreterie di partito locali: “Non vuole dire bestemmiare in Chiesa, se si registra lo scostamento oggettivo tra numero di votanti alle primarie nazionali e alle segreterie locali. Diverse regole, si dirà. Soprattutto diverso approccio, diverso entusiasmo, diversa spinta. Sarebbe logico prenderne atto, piuttosto che cominciare con la salva dei distinguo”.

Anche il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, che come Vitali solo recentemente si è manifestato ‘renziano’, ha spedito messaggi inequivocabili verso il governo di Bologna: “Renzi- ha chiarito Gnassi- ha parlato ai lavoratori e soprattutto a chi un lavoro non ce l’ha. Ha lanciato un messaggio alla classe dirigente diffusa del nostro Paese, che ha bisogno di una sterzata perché non riesce più a rappresentare chi dovrebbe. E questo vale anche per l’Emilia Romagna, che ha bisogno di riprendere un percorso di forte trasformazione. Un nuovo approccio per trasformare le città, senza consumare il territorio; per costruire scuole, senza aver paura di dialogare con i giovani che operano nelle cooperative del sociale. Un percorso che guarda alla green economy, che considera il turismo come un’industria”.

La vittoria di Renzi come ultima chiamata di rilancio anche per Errani, insomma. Dall’Emilia, invece, prima dell’altolà di Richetti gli strappi erano stati ventilati a Modena e a Reggio Emilia. “Credo sia responsabilità di un gruppo dirigente che fino ad oggi ha avuto una distanza siderale con gli elettori decidere se prendere atto di quanto è successo o continuare con il divorzio dai cittadini che dura da anni”, ha ammonito il consigliere regionale reggiano Beppe Pagani passando il cerino a Andrea Costa, esponente dell’area Cuperlo uscito vincitore dal congresso provinciale contro il candidato renziano Giammaria Manghi grazie al sostegno dell’area Civati.

Spostandosi di qualche chilometro, i detrattori dello status quo non cambiano tono: “La vittoria di Matteo Renzi è la vittoria del Paese. Ma ora tocca a noi, il tempo delle attese è finito e anche Modena deve riflettere”, dice il consigliere comunale modenese Fabio Rossi. Ma è stata la stessa rappresentante dei comitati Renzi di Modena, Maria Costi, ha chiarito un concetto che per Errani sembra calzare a pennello: “Una riflessione va fatta e subito”, perché “più il partito ritarda nel fare le riflessioni più rincorre le situazioni che sono già nei fatti”. Il fortino magari terrà, ma intanto traballa.

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