Ricordo il primo giorno che Luca mi disse: “Mamma, raccontami una storia”. Chissà perché avevo immaginato mille volte quel momento: io che dovevo trovare le parole per disegnare il mondo ai miei figli. Davvero ero mamma, il primo cerchio era compiuto. Ma in tutti quegli anni di attesa non mi ero preparata: è difficile raccontare una storia, una favola. Non si improvvisa. É un’arte che si impara e richiede allenamento.
I primi giorni, così, sono faticosi: favole troppo corte o troppo lunghe, senza dettagli, senza eroi. Luca restava perplesso. Insoddisfatto. 

Davvero bisognerebbe che noi genitori, padri e madri, ci scambiassimo trame, ma soprattutto suggerimenti, tecniche e piccoli stratagemmi. Che facessimo una piccola alleanza. Provo a dirvi le mie idee: seguendo il ritmo dei respiri e degli sguardi di Luca ho imparato che uno degli ingredienti fondamentali è l’attesa. Più della trama. Occorre disseminare il percorso di piccoli indizi, di sassolini che i bambini seguano per arrivare alla meta. Da soli. E i personaggi: non è necessario che siano invincibili, anzi, ai bambini piacciono anche i deboli, gli sconfitti. Più che a noi.
Ma bisogna tratteggiarli con cura. Un paio di baffi, una pipa, i pantaloni bucati e il passo incerto. Ogni personaggio deve avere un ruolo, come in fondo dovrebbe essere nella vita. Ma uomini e donne non possono galleggiare nel vuoto, devono muoversi in un ambiente ricco di colori e di luci. Quelle tinte che noi forse non riusciamo più a vedere e che le favole ci aiutano a riscoprire.

E poi il tocco finale, me l’ha suggerito mio marito: le favole devono essere epiche, mi dice, mentre racconta l’epopea di una piccola squadra di pallone come fosse la conquista della luna. L’epica, chissà forse anche l’Iliade e l’Odissea a loro modo erano grandi favole. É una cosa seria, la favola, mi dico: mi accompagnano ancora quelle che mi raccontavano i miei genitori, i cugini Nino e Umberto, o la tata Cavel. Una cosa seria, Luca conserverà le mie parole. 

Intanto provo a raccogliere le idee per la favola di questo lunedì mattina, mentre andremo a scuola. Davvero queste storie mi aiutano a trovare una trama, quasi un senso nelle nostre giornate. Danno dignità e grandezza alle piccole cose. Servono anche a me. E penso a tutti voi che in questo momento raccontate ai vostri figli. 

Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 2 Dicembre 2013

Articolo Precedente

Firenze Capitale e il disastro della grafica pubblica fai-da-te

next
Articolo Successivo

Non profit, le Ong verso il futuro tra tradizione ed innovazione

next