Le mani su Taranto. Dall’aria all’acqua. Dall’inquinamento ambientale alle minacce per monopolizzare il porto del capoluogo ionico. Secondo la procura tarantina il sistema Ilva è stato capace di mettere in ginocchio non solo allevatori, miticoltori e pescatori, ma anche gli agenti marittimi. Quattro anni e sei mesi di carcere è infatti la pena richiesta dal sostituto procuratore Giovanna Cannarile nei confronti di Emilio Riva, l’88enne ex patron dell’Ilva di Taranto, e per i figli Fabio e Claudio accusati di aver imposto agli spedizionieri del porto un illecito regime di monopolio. Una nuova tegola, insomma, piombata sulla testa dei padroni dell’acciaio italiano dopo la bufera giudiziaria che li ha travolti il 26 luglio 2012.

Ma questa volta non sono le emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico ad essere finiti nel mirino della magistratura. Secondo l’accusa, i Riva e altri 11 imputati, sono responsabili a vario titolo di concorrenza illecita, minacce ed estorsione nei confronti di cinque compagnie marittime locali. In sostanza avrebbero sostenuto che l’Ilva fosse titolare di un terminal di scarico privato presso il porto di Taranto nel quale erano abilitati a operare solo Anchor Shipping e Navalsud, agenzie scelte dai Riva perché disposte a praticare prezzi inferiori a quelli stabiliti dalle tariffe e avrebbero di fatto tagliato fuori dal mercato le cinque agenzie tarantine.

Non solo. Gli armatori in rapporti di lavoro con la fabbrica sarebbero anche stati intimiditi con minacce di interrompere qualsiasi tipo di legame lavorativo con l’Ilva se non avessero utilizzato come agenzie una quelle indicate dal Gruppo industriale. Una condotta che secondo i legali Carlo Petrone e Stefano Caffio che assistono le parti civili, avrebbe causato una danno alle aziende di Taranto di ben 30 milioni di euro. Al termine della sua requisitoria, il pubblico ministero ha chiesto la condanna dei Riva, e pene comprese tra i sei anni e i due anni e sei mesi per gli altri imputati. La sentenza è prevista per il prossimo 11 dicembre.

Un’ennesima giornata nera, insomma, per i Riva iniziata con un’esplosione all’interno della fabbrica che fortunatamente non ha prodotto feriti: secondo il sindacato Usb l’incidente ha colpito il refettorio delle pulizie industriali all’interno dell’acciaieria 2, che è stato investito dalla deflagrazione. Ingenti secondo il sindacato i danni alla struttura. Un fatto “ancora più grave se si pensa – aggiunge l’Usb di Taranto – che diverse segnalazioni rispetto a quanto poteva accadere, e che di fatto è accaduto, erano state fatte dalle RSU nei mesi precedenti”. Intanto dopo la chiusura delle indagini per l’inchiesta Ambiente svenduto, la procura è pronta a spingere per l’estradizione di Fabio Riva, latitante a Londra dallo scorso anno. Nelle scorse ore, il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio e dall’aggiunto Pietro Argentino, ha inviato in Inghilterra una memoria che il prosecutor, il pubblico ministero inglese, dovrà presentare al giudice distrettuale entro il prossimo 9 dicembre per replicare alle indicazioni dei difensori dell’ex vice presidente del Gruppo Riva, che chiedono il rigetto della richiesta di estradizione formulata dalle autorità italiane.

AGGIORNAMENTO

In data 30 giugno 2016 la Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto ha confermato, in via definitiva, l’assoluzione nei confronti di Claudio Riva e di tutti gli altri imputati, da tutti i reati loro contestati.

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