Le banche chiamano, il governo di Enrico Letta risponde. E in vista delle feste natalizie, l’esecutivo prepara un nuovo regalo per gli istituti di credito: una fetta dell’indennità di disoccupazione (Aspi) normalmente destinata ad attività diverse da quelle bancarie. In ballo ci sono fra i 30 e i 40 milioni di euro che, sottratti dal budget complessivo dell’Aspi, serviranno ad alleggerire gli istituti di credito dai dipendenti in esubero.

A promuovere l’idea è il ministro del Lavoro Enrico Giovannini che secondo fonti vicine al ministero si sta adoperando per aprire un tavolo sulle problematiche dell’occupazione del mondo creditizio. Nonostante il settore sia tornato a macinare utili, infatti, le banche continuano a lamentare l’eccesso di personale e il peso del costo del lavoro sui propri conti. Le stime più ottimistiche parlano dell’esigenza di tagliare 30mila dipendenti, quelle più nere arrivano fino a 100mila unità.

Numeri che fanno tremare i polsi ai lavoratori del settore dopo che la confindustria delle banche, l’Abi, ha deciso lo scorso settembre di disdettare in anticipo unilateralmente il contratto di categoria relativo a ben 330mila lavoratori. Con le sofferenze in ascesa e l’esigenza di riequilibrare i conti per adeguarsi ai diktat comunitari, la lobby bancaria preme quindi per appropriarsi di parte dei 200 milioni che il settore versa ogni anno allo Stato proprio per l’Aspi come contributo di solidarietà.

Non solo: poiché l’accesso alla disoccupazione per i bancari apre direttamente anche lo scenario inedito della possibilità di licenziamenti e prepensionamenti non proprio volontari. Finora infatti i sindacati di concerto con gli istituti di credito hanno gestito l’uscita di 48mila lavoratori attraverso il fondo esuberi a carico esclusivo del settore e non dello Stato. Secondo i vertici delle banche, però, questi numeri non sono più sufficienti. Da qui lo slancio verso l’aiuto pubblico.

L’accesso all’Aspi e l’apertura del sussidio di disoccupazione ai bancari rischia così di essere l’ennesimo regalo alle banche dopo una serie di provvedimenti governativi a favore della lobby creditizia tra cui la recente rivalutazione delle quote di Bankitalia, la riduzione del periodo di ammortamento di perdite e svalutazioni con un vantaggio fiscale stimato attorno ai 20 miliardi e i fondi per i mutui via Cassa Depositi e Prestiti.

Ma neanche questo placherà la fame degli istituti di credito italiani come testimonia il fatto che il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che chiede a Letta la conversione del decreto Bankitalia in legge immediatamente con la convocazione dell’assemblea della banca centrale il 30 dicembre, lamenta il forte peso della tassazione sugli istituti di credito alla vigilia dell’Unione bancaria europea.

“Ogni appesantimento della pressione fiscale sul comparto bancario – ha sottolineato il numero uno dell’associazione dell’industria del credito, commentando la manovra fiscale sul comparto per coprire l’abolizione della seconda rata dell’Imu – pesa non solo sulle banche ma sul complesso dell’economia produttiva e non favorisce certo gli esami che nel 2014 saranno effettuati con modelli unici in tutta Europa e su tutte le banche europee”. Un fatto negativo, insomma, perché le banche, devono essere viste come “uno dei fattori produttivi per lo sviluppo dell’economia italiana”. Peccato però che il credito per famiglie e imprese è sempre meno.

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