Pronto alla manifestazione di piazza, a tornare in tv, prima del voto sulla decadenza, per spiegare le sue ragioni agli italiani. Ma, soprattutto, a difendersi come un leone in aula al Senato, mercoledì prossimo, per mettere in mora i suoi avversari politici inchiodandoli alla poltrona: “Consegnando me – dirà Berlusconi – state consegnando voi stessi alla magistratura; avete una responsabilità storica, di mettere la politica, tutta, nelle mani dei giudici e non più del popolo rosso o azzurro che sia; da questo momento i leader democratici li sceglierà non più il popolo ma i pm”.

UN DISCORSO per fare colpo, per “passare alla storia”, per “non fare la fine di Craxi mentre continua a temere, in cuor suo, di fare, invece, “la fine della Tymoshenko” e che appena verrà votata la decadenza lo arresteranno. Lasciandolo “solo”, a combattere anche con il “Ruby ter”, un processo che lui definisce “farsa” dove si troverà dalla stessa parte dei suoi avvocati per difendersi dall’accusa di aver comprato testimoni. C’è chi giura che questo momento sarà in contemporanea con il voto sulla decadenza, “a ennesima riprova, se ce ne fosse bisogno – alzava la voce ieri alla Camera un falco di primo piano – che quella contro Berlusconi è una vera e propria persecuzione giudiziaria”. La tesi, ancora oggi, resta convinzione forte anche dei “traditori” di Alfano, che non a caso hanno messo in campo ogni arma a disposizione per rimandare il voto, ma Grasso è stato inamovibile: si vota il 27 novembre. E non se ne parli più. Lunedì la capigruppo dirà la parola definitiva.

A questo punto, messo alle strette, Alfano ha tirato per la giacca Enrico Letta, ventilando una sottile minaccia: “No alla fiducia alla legge di Stabilità per accelerare la decadenza”. Altrimenti? Chissà. Intanto, però, si dice che “non si può mettere la fiducia e votarla in due giorni perché mercoledì il Pd vuole far decadere Berlusconi da senatore”. Il quadro generale, infatti, regala l’intenzione dei relatori della Stabilità e del Tesoro di chiudere il ddl in commissione tra domenica sera e lunedì mattina per mandare il testo in aula già lunedì sera. A questo punto, l’unico modo per non modificare il calendario del Senato è mettere la fiducia e sbrigare la pratica nella giornata di martedì 26. Alfano e con lui numerosi senatori del Ncd, giudicano questa soluzione “inaccettabile”.

ORA, è il ragionamento di Alfano, porre la questione di fiducia solo per accelerare i tempi e magari rinviare alcuni nodi in seconda lettura alla Camera appare un gesto di sfida non solo al Nuovo centrodestra, ma nei confronti di tutto il Senato. Nel Pd, al momento, preferiscono non alzare polvere, ma un esponente di governo democratico, sempre ieri alla Camera, si è lasciato sfuggire un’apertura: “Vediamo, non siamo obbligati a mettere la fiducia. Per il momento pensiamo a finire in commissione e poi deciderà la capigruppo del Senato”. Insomma, la prova di forza di Alfano potrebbe non restare lettera morta, ma portare alla mediazione di uno slittamento (una settimana) del voto su B.

Gli ex pidiellini sul punto saranno ancora compatti. Ma solo su quel punto. Sul resto, siamo ai colpi bassi. È ancora una volta il Mattinale a regalare inquadrature da un divorzio gestito male. Ieri i ministri alfaniani venivano immortalati come “Quid, Quod e Quad”, ovvero “l’esaltazione di Alfano e dei suoi trasformati in statisti dal bacio ‘de sinistra’”. Monito finale iettatorio: “Dura minga”. “Dalla polvere al cielo. Dallo squid al quiddissimo – si leggeva – basta fare una mossetta timida in allontanamento da Berlusconi, e colui che era considerato un equino spelacchiato, diventa uno statista, olè”. La rissa tra gli ex Pdl rasserena Enrico Letta che da Berlino afferma: “Berlusconi non è piu un pericolo perché dopo la scissione del nuovo centrodestra c’è una chiara maggiorana e ora sono più forte”.

Da Il Fatto Quotidiano del 23 novembre 2013

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