Agli insaziabili artefici della libera disuguaglianza il “tanto” non basta. Loro vogliono “tutto”. Chi sono non è difficile da indovinare: sono i vincitori della terza guerra mondiale. No, non è un “excursus” nella fantapolitica. La terza guerra mondiale c’è stata, solo che non è stata combattuta nel modo tradizionale. Ormai, tra grandi potenze, le guerre non si combattono più con le armi, si combattono con l’economia e con la finanza.

Le armi vere, soprattutto quelle nucleari, servono solo come minaccia e deterrente per far desistere chi volesse tentare il colpo di forza, ma quello che produce oggi gli effetti di dominanza, persino maggiori di quello che si potrebbe ottenere con la conquista territoriale, è il predominio economico e finanziario.

Nessuno può contestare oggi che questo predominio, dalla caduta del “muro” in poi, sia saldamente in mano agli americani e ai loro alleati più stretti. Un predominio che però, a causa della gravissima crisi finanziaria americana iniziata nel 2007, gli Stati Uniti rischiavano di perdere, lasciandolo all’Europa.

Probabilmente sarebbe stato così se l’Europa fosse stata strutturata come gli Stati Uniti d’America, ma sappiamo bene che non è così, e certamente non a caso. Non è un caso infatti che il principale alleato degli Usa (la GB) non sia entrato nell’euro (insieme ad altri paesi economicamente meno importanti). Il motivo non era quello “sentimentale” raccontato dai soliti fornitori di informazione edulcorata, ma esattamente quello che vediamo oggi, cioè una moneta unica che, invece di operare nell’interesse di tutti i paesi aderenti, finisce col favorire sproporzionatamente solo il paese “primo della classe”. Questo è stato possibile però grazie anche alle contemporanee ed estemporanee imposizioni delle politiche di austerity, tetto al debito e via dicendo, agevolate dalla politica locale. Che non possono quindi essere assolutamente considerate “casuali”, essendo ingredienti indispensabili ad ottenere il completo controllo del territorio, o per meglio dire, del mercato locale.

A questo punto desidero allontanare subito il sospetto che io stia per denunciare un “complotto” dell’America contro l’Europa. Nella situazione attuale non c’è alcun bisogno (per gli Usa) di arrivare a tanto. E’ sufficiente mantenere il predominio economico-finanziario sui mercati per ottenere il successo completo. Successo che però è possibile nella sua pienezza solo mantenendo una pressoché totale assenza di vincoli, divieti e limitazioni, sulle transazioni finanziarie. Che tra l’altro per le grandi banche americane è anche una vera necessità, poiché è proprio dalle transazioni finanziarie che arrivano alle banche i guadagni sostanziosi.

Ma le transazioni finanziare, in America, non servono solo al business, servono anche alla galassia di risparmiatori, fondi di investimento, hedge-funds, speculatori grossi e piccoli, che ormai navigano sempre più numerosi nell’immensità del libero mercato. Il cittadino comune che vuole garantirsi (si fa per dire) una pensione adeguata ai suoi bisogni, deve per forza accantonare denaro e affidarlo perciò a qualcuno di questi soggetti. I quali a loro volta, consapevolmente o meno, sono condizionati dalle decisioni che vengono prese nelle sale ovattate dei grandi Consigli di Amministrazione del capitalismo moderno che, messe da parte tutte le ideologie, ha trovato finalmente nel libero mercato il suo “brodo di coltura” indispensabile a sviluppare una competizione possibilmente libera da ogni impedimento.

In questa dimensione, chiaramente visibile nei “progetti” del partito repubblicano americano, ma certamente non assenti nemmeno in quelli del Partito democratico, si muove quindi tutto il capitalismo moderno, che non ha più nei sindacati la propria naturale controparte, ma solo nelle poche regole che qualche forza politica riesce ad opporre.

Disuguaglianza sociale, delocalizzazioni, imposizione fiscale, ecc. sono tutte limitazioni assolutamente sgradite al capitalismo e rifiutate, quando è possibile, in toto. Se però nel secolo scorso c’erano ancora potenti forze politiche e sindacali a contrastare l’insaziabile voracità dei capitalisti, oggi a sostenere l’impossibile sfida ci sono solo poche sparute pattuglie di politici idealisti, a loro volta in balia del capitalismo a causa della necessità di trovare fondi bastanti a finanziare la “campagna” politica per essere eletti.

L’esosità estrema di questo capitalismo iper-liberista, che rifiuta, se non costretto, di occuparsi di qualunque problematica sociologica, porterà però presto (e già lo si vede chiaramente in Europa) a proteste e sommovimenti che non potranno non influenzare anche la politica, con la nascita di formazioni politiche estreme e persino il rischio, in qualche paese, di soluzioni totalitarie. Che però come noto servono solo a ristabilire in qualche misura l’ordine, non la giustizia sociale.

Dallas, Texas

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