Nel dare inizio, con questo blog, a una riflessione sul Terzo settore in Italia, desidero fare una premessa: credo fermamente nel non profit e nel contributo che può dare al miglioramento e alla trasformazione indispensabile del paese. Proprio per questo cercherò di metterne in luce punti di forza e di debolezza, ed evidenziare le innovazioni e le buone prassi, ma anche il vecchiume che talvolta fatica a venire spazzato via.

Detto questo, mi calo in un argomento di grande attualità, i fondi per le Filippine, colpite dal tifone Hayian. Oltre agli Stati, alla Commissione Europea e ad altre istituzioni, tutte le grandi (e meno grandi) organizzazioni non profit hanno cominciato a raccogliere denaro. In particolare, sotto l’egida di Agire (Agenzia Italiana Risposta Emergenze) si sono unite alcune grandi “multinazionali” del terzo settore, quali Action Aid, Amref, Cesvi, Coopi, Gvc, Intersos, Oxfam, Sos Villaggi dei bambini, Terre des hommes, Volontariato internazionale per lo sviluppo. Nel caso del tifone delle Filippine, inoltre, Agire e Croce Rossa stanno lavorando insieme, e le donazioni, stimolate anche da Facebook, giungono copiose. Per fortuna, è ovvio.

Ma c’è un tema, molto evidente nelle catastrofi naturali, che vorrei porre alla vostra attenzione, e che la vicenda del terremoto del 2010 ad Haiti ha mostrato: non sempre, infatti, il denaro è stato impiegato in modo efficace, e, tre anni dopo il disastro, le condizioni di vita restano devastanti.

Avete idea della complessità di far arrivare così ingenti soccorsi dove servono? Fondi peraltro non sempre raccolti in modo coordinato? Colpisce, ad esempio, per quanto riguarda il presente, che tra le associazioni di Agire solo un paio avessero già progetti nelle Filippine. Gli altri come arriveranno a incidere sul territorio? Come sapranno qual è il modo migliore per agire? Come si guadagneranno la fiducia degli abitanti?

In genere, noi siamo portati a donare di più quando c’è un’emergenza. Le immagini dei morti e dei profughi provocati dalle catastrofi inducono in noi una profonda compassione, un’identificazione con chi soffre per ragioni che nulla hanno a che fare con la loro responsabilità. Occorre fare in fretta, donare subito, ci dice chi raccoglie fondi, si potranno salvare molte vite. Nelle nostre case sicure e asciutte, doniamo, e zittiamo la nostra coscienza dolente di occidentali.

Tuttavia, quanti di noi seguono veramente cosa accade del nostro denaro nelle zone colpite? Quanti si occupano di scortare il percorso delle loro donazioni? Quanti pretendono una precisa rendicontazione di come è stato speso il denaro? Siamo sinceri!

Suggerisco di non donare? No, certo! Forse, però, si potrebbe fare le donazioni diversamente: meno sull’onda dell’emozione, e più razionalmente, dopo essersi informati, avendo chiesto alle associazioni coinvolte maggiori delucidazioni. Magari potremmo provare a ricordarci delle Filippine anche tra un anno, quando i giornali non ne parleranno più, e cercare i buoni progetti destinati al paese. A mio modo di vedere, sarebbe un grande aiuto per tutto il settore no profit, che si vedrebbe obbligato a maturare e in parte a rifondarsi, di fronte a donatori più consapevoli.

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