Il ministro Cancellieri ripete di non aver interferito in alcun modo con il procedimento a carico della famiglia Ligresti e sostiene che la segnalazione delle precarie condizioni di salute di Giulia Ligresti era motivata da ragioni umanitarie, proprio come negli altri 110 casi simili di cui si sarebbe occupata personalmente. Giustificazioni ipocrite e giuridicamente infondate.

La non interferenza. Certamente non fu un’interferenza diretta; anche perché la Procura e i Gip di Torino l’avrebbero cacciata a scopate. Ma indiretta sì, eccome: a cosa altro sarebbero serviti gli accertamenti promossi dal Dap? Nessuno avrebbe potuto scarcerare Giulia Ligresti se non il Gip, previo parere della Procura; dunque la certificazione medica richiesta da Cancellieri avrebbe dovuto essere trasmessa alla magistratura per indurla a nuove valutazioni. Non è un’interferenza (tentata) questa?

Ma, dice Cancellieri, si trattava di compiti istituzionali del ministero, veri e propri atti d’ufficio. Ne ha promossi altri 110 analoghi, dice. 110 errori. Perché il ministro non si occupa dei singoli cittadini ma dell’organizzazione del sistema; agli utenti, per i casi concreti, provvedono i funzionari. Se non fosse così, i cittadini sarebbero divisi in due categorie: quelli che sono in qualche rapporto con il ministro e di cui egli si occupa personalmente; e tutti gli altri, di cui si occupano i funzionari. Qualcuno ha dei dubbi circa il fatto che i primi si troverebbero in una condizione privilegiata? E questo indipendentemente dal fatto che i provvedimenti adottati siano giusti o meno; gli amici del ministro godrebbero comunque di una strada privilegiata. Per questo gli atti d’ufficio nell’interesse di amici, prima delle riforme pelose volute da tutta la classe politica, erano considerati reato: interesse privato in atti d’ufficio, si chiamava.

Va bene, ma ormai… Però il dovere di astensione nei casi di “gravi ragioni di convenienza” rimane. E Cancellieri informazioni sul punto ce le aveva in casa: è il suo ministero a promuovere le azioni disciplinari nei confronti dei magistrati che non lo rispettano; le sentenze di condanna (in casi molto meno rilevanti del suo) gliele avrebbe potute fornire uno qualsiasi dei suoi ispettori.

Sentenza 114/2008 – “Configura illecito disciplinare la condotta del magistrato che ometta di astenersi in procedimenti in cui presti l’attività di difensore un avvocato con il quale il proprio figlio intrattenga rapporti di stabile collaborazione, e sebbene l’avvocato non abbia tratto alcun vantaggio dall’omessa astensione, poiché detta situazione mette in pericolo il requisito dell’imparzialità dell’esercizio della funzione giurisdizionale”.

Ordinanza N. 81/2010 – “Configura illecito disciplinare, per consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione, la condotta del pm che proceda alla trattazione di un processo in cui il difensore di un imputato sia stato anche suo difensore. La previsione dell’astensione per ‘gravi ragioni di convenienza’ risponde all’esigenza di preservare il valore della imparzialità e di impedire che influenze personali possano alterare il corso della giustizia. Inoltre la situazione di conflitto di interessi rende plausibile sostenere, con conseguente discredito per il prestigio dell’ordine giudiziario e dello stesso magistrato, la volontà di compiacere o favorire il professionista, pur se le scelte processuali siano tecnicamente ineccepibili”.

Questi precedenti sono stati scelti tra moltissimi. Perché nel primo si fa riferimento al “figlio” del magistrato: il suo rapporto di lavoro con l’avvocato difensore avrebbe dovuto indurre il giudice ad astenersi. Proprio il caso di Cancellieri, il cui figlio aveva lavorato con Ligresti. E, nel secondo, si menziona un rapporto professionale con l’avvocato difensore, caso evidentemente molto meno coinvolgente di un rapporto di amicizia personale ventennale, come rivelato dallo stesso ministro. In entrambi i casi poi, si spiega chiaramente come non abbia nessuna importanza che l’interferenza abbia comportato conseguenze non illecite: è il valore dell’imparzialità e il prestigio del magistrato (quello di un ministro avrà almeno valore equivalente?) che l’astensione deve preservare; l’eventuale illecito – ci mancherebbe altro – è sanzionato a livello penale.

C&C la smettano di ciurlare nel manico: i magistrati sono condannati disciplinarmente, il loro ministro si porti a casa quantomeno la sfiducia politica.

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