Poeta, narratore, critico letterario e traduttore di autori francesi come Stendhal, Mallarmé, Flaubert, Balzac e Prévert, Maurizio Cucchi è anche un attento osservatore della realtà italiana sulla quale ha scritto diversi articoli su molti giornali.

L’inno d’Italia è un testo incomprensibile almeno nella parte più conosciuta e cantata. Un poeta come lei ha un verso per descrivere questo paese?

Io non ho un verso mio però c’è un libretto di Giancarlo Majorino che è un mio amico ed è un poeta importante che si intitola La dittatura dell’ignoranza. Devo dire che il titolo è uno slogan che calza alla perfezione. L’ignoranza non solo è presente ma lo è in modo tronfio, fiera di se stessa, valorizzata, promossa in tutte le forme.

Secondo lei qual è la malattia dell’Italia?

Ci sono tante cose. A parte questa ignoranza che è stata diffusa soprattutto dai media e dalle televisioni a me sembra che una delle cose che mancano al nostro paese sia il senso forte della comunità e un senso della dignità e del decoro. Noi spesso critichiamo i francesi e li tacciamo di sciovinismo. Però loro hanno un’identità nazionale forte che naturalmente deriva da secoli di storia molto più numerosi dei nostri. Da noi sono passati centocinquant’anni e sembra che l’identità nazionale praticamente non esista. Penso che questo sia il sentimento che ci vorrebbe per migliorare tante cose. La furbizia non è necessariamente una virtù. Purtroppo, poi, la nostra cultura di ricerca viene sommersa dai surrogati. Ogni forma espressiva ha il suo: il poeta ha il cantautore e così il musicista. Il cantautore è diventato l’icona pensante del varietà contemporaneo. D’altra parte la funzione espressiva in un contesto di varietà non può che essere affidata a uno che canta canzonette. E ancora: la musica classica è rappresentata da un finto musicista, i giornalistici si definiscono scrittori e storici… Il surrogato trionfa e si arriva al punto di proporre un cantautore al premio Nobel della letteratura.

Leopardi ha scritto: “…Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci”

Direi che oggi è molto più attuale di quanto non potesse essere quando io ero ragazzo. Dopo la guerra c’era una reale volontà di ricostruzione e un senso del servizio al bene comune. Gli uomini sono sempre stati portati al potere, comunque cercavano di incidere con delle idee che potevano essere condivise o meno ma che non erano rivolte essenzialmente al proprio interesse personale. C’era un senso della necessità di costruire qualche cosa di importante e, piano piano, tutto questo si è sgretolato. Se noi confrontiamo i discorsi dei politici ce ne rendiamo ben conto. A parte il fatto che Leopardi parla del cinismo ma qui non c’è neppure il cinismo, mi sembra che i politici ormai siamo diventati dei comici della televisione. Quando vedo queste risse e questi discorsi di basso profilo mi vergogno e dico: ma questi sono i nostri rappresentanti? Partecipano al varietà come attori del varietà stesso? Io vorrei che fossero proibite le partecipazioni dei rappresentanti eletti dal popolo ai talk-show. Ricordo quando ero ragazzo che c’era Tribuna Politica. Adesso vanno ovunque perché sono comici della televisione e come tali sono recepiti dal popolo che li valorizza come buoni o cattivi comici.

La corruzione è un fenomeno dilagante che non s’arresta. Agli italiani manca il senso del bene comune?

Premetto che io sono orgoglioso di essere italiano. Però, con le eccezioni del caso, l’italiano dice: quello lì è un ladro e lo dice con un vago sottofondo di stima se il ladro non viene catturato. Questo produce poca dignità morale e poco decoro nazionale e questo purtroppo è ciò che vedono anche gli stranieri. Sanno che non siamo stupidi ma non si fidano e forse hanno ragione.

Da anni sembra prevalere l’egoismo a tutti i livelli. Quando a suo giudizio è stato messo in crisi il valore della solidarietà?

Una volta ho sentito un politico cattolico di formazione dire che in condizioni di difficoltà complessiva non possiamo distribuire solidarietà. La solidarietà è il primo valore di una società che voglia essere civile, non ci dovrebbe essere bisogno di nessuna ideologia per promuoverla e sentirla come valore primario. D’altra parte se c’è uno che cade per strada la gente si ferma, c’è un senso di partecipazione. È chiaro che se poi si sdoganano dei disvalori come valori, tipo la competitività estrema da cui consegue la sopraffazione dell’altro come virtù, è chiaro che la solidarietà viene recepita come una forma di ingenua generosità arcaica.

Lei si sente italiano oppure in questo paese fa fatica a riconoscersi?

Mi sento italianissimo e sono orgoglioso. Avendo sempre dedicato la mia vita alla letteratura dico che questa è forse la prima cosa che crea un paese come il nostro. Noi leggiamo i siciliani del 1200 che scrivevano in italiano. È vero che dicono che la gente parlava il dialetto ma c’è questa tradizione letteraria fondata sulla lingua e la lingua è molto importante per differenziarsi dalle bestie. Ricordo che una volta ho partecipato alla trasmissione “Uno contro tutti” e c’era Bossi che disse ‘Ma la lingua è proprio così importante?’ Risposi: se vuoi fare un cammino di Darwin alla rovescia…

Milano può tornare ad essere la capitale morale del Paese oppure si è persa?

Sono molto cambiati i tempi. Milano sta dentro il mondo che la condiziona. È chiaro che una persona della mia età tende a privilegiare l’idea del passato ma a me piacciono anche tante cose del presente e vorrei che i valori del passato non venissero buttati via con gli errori. Credo che nel mondo globalizzato sia molto difficile per una città avere ancora una funzione di traino, al di là del fatto che la moneta cattiva scaccia quella buona e noi ce ne siamo accorti. Complessivamente trovo che sia ancora una città civile, oltre che molto bella anche se i milanesi non lo sanno.

Che idea ha dei giovani?

Sono preoccupato quando vado alle colonne di San Lorenzo e vedo centinaia di ragazzi ubriachi con in mano la bottiglia della birra. Quello che mi stupisce è questa omologazione depressa di cui loro non sono colpevoli perché sono pieni di vuoto che cercano di riempire con una falsa socialità e con delle sostanze. Una ragazza una volta, alla mia osservazione che i giovani dicono sempre io e poi fanno tutti le stesse cose, mi ha risposto ‘le facciamo con la convinzione di averle scelte’. Una cosa che il giovane ha sempre avuto di buono è quella di essere bastian contrario. Oggi anche nel linguaggio usano solo parole fecali e sessuali destituite di semantica.

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