Dopo la Gran Bretagna anche la Repubblica Ceca parla di un referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Per ora è solo un’ipotesi, ma in un Paese dove l’euroscetticismo è più che latente, ci vuole poco a passare dalle parole ai fatti. La proposta è di Miloslav Bednar, vicepresidente del Partito dei cittadini liberi (Strana soukromníků České). L’obiettivo sarebbe “riconsiderare l’adesione all’Ue” tramite ”un referendum su una possibile uscita dall’Ue”. Sotto accusa “la governance dirigista dell’Ue e le politiche adottate”, insomma oro colato per un popolo da sempre critico nei confronti di Bruxelles, in crisi e stanco di continui scandali politici.

Il dito è puntato contro “l’insostenibilità di questa Europa”. Il vocabolario è più o meno quello usato da David Cameron nelle sue scorribande sul continente, giusto con un pizzico di populismo in più. Ma a Praga, di questi tempi, tutto è concesso, basta guardare i risultati delle ultime elezioni nazionali che hanno visto la formazione Ano 2011, la forza politica fondata in pochi mesi dal magnate Andrej Babis, raccogliere il 18,7% delle preferenze (solo l’1,8% in meno dei vincenti socialdemocratici del Cssd, guidati da Bohuslav Sobotka). Il Partito dei cittadini liberi alle urne è andato malino, solo il 2,4%, ma proprio questa proposta di referendum anti Ue potrebbe farne lievitare le quotazioni elettorali. D’altronde l’euroscetticismo a Praga trova terreno fertile – la Repubblica Ceca è membro dell’Ue dal 2004.

A Bruxelles tutti ricordano le sparate anti Europa dell’ex presidente ceco Vaclac Klaus, un uomo che si è definito a più riprese un “dissidente europeo”. Proprio Klaus è stato uno degli ostacoli più grandi alla ratifica del Trattato di Lisbona, il più recente dei testi legisltivi fondanti dell’Ue (2009). Successivamente all’approvazione del Trattato da parte del parlamento nazionale, Klaus si è rifiutato per un certo periodo di promulgarlo per avvantaggiare indirettamente l’elezione di Cameron nel 2010 (che contro questo trattato aveva basato parte della sua campagna) ed ottenere da Bruxelles una opzione di ”opt-out” sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel Consiglio europeo di fine ottobre 2009.

Proprio con la Gran Bretagna, la Repubblica Ceca ha non poche similarità, specie nel loro rapporto con l’Europa, e questa proposta di referendum ne è la riprova. ”Rinegoziare i rapporti con l’Ue” è diventato il leitmotiv principale di due Paesi che cercano di attribuire a parole a Bruxelles più responsabilità di quelle che invece ha, spesso per nascondere ben altro tipo di interessi. Londra, dietro lo scudo di thatcheriana memoria del ”give our money back”, osteggia da sempre l’intromissione dell’Ue nelle questioni finanziarie della City.

Praga, con la scusa della difesa delle tradizioni nazionali, ha ottenuto un out-out dai trattati che, tra l’altro, esorcizzerebbe il rischio che i tedeschi cacciati dalla regione montagnosa dei Sudeti dopo la Seconda guerra mondiale possano appellarsi alla Corte di giustizia Ue per riottenere i propri beni. A questo va aggiunta la comune opposizione – condivisa anche con la Svezia e, in parte, dalla Germania – al progetto di unione bancaria allo studio di Bruxelles e Francoforte. Insomma, dietro la proposta di referendum sull’uscita dall’Ue potrebbe esserci molto di più.

Twitter @AlessioPisano

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