La Premier League sotterra l’ascia di guerra e firma l’armistizio con Youtube. Dopo sei anni e mezzo di battaglia legale sulla violazione dei diritti televisivi, la Serie A di calcio inglese ha rinunciato alla causa contro il colosso del video sharing di proprietà di Google, che lo ha acquistato nel 2006 per oltre un miliardo e mezzo di dollari. Una partita infinita iniziata nel 2007, quando la Premier denunciò la società di Mountain View accusandola di permettere il caricamento di riprese amatoriali delle partite e degli highlights danneggiando così il patrimonio derivante dalla vendita dei diritti tv.

Come riporta il quotidiano inglese The Guardian – il primo a dare la notizia – la Premier “lanciò una class action negli Usa, offrendo anche ad altri la possibilità di citare in giudizio il sito di video sharing”. E infatti si accodarono la Fft, la federazione di tennis francese, e diverse case discografiche. Ma sempre secondo The Guardian la svolta è arrivata a maggio di quest’anno quando un giudice di New York ha stabilito che la questione non sarebbe potuta arrivare in tribunale sotto forma di class action, “evidenziando quanto fosse irrealistico considerare in un singolo caso le richieste di risarcimento avanzate dai vari possessori dei diritti”.

Da qui la decisione di sfilarsi da parte di tutti, Premier compresa. Un sostanziale pareggio? Più o meno. Youtube vede infatti riconosciuto il proprio ruolo e gli inglesi saranno giocoforza “costretti” a firmare gli accordi per l’utilizzo di ContentID, il programma d’identificazione contenuti sviluppato negli uffici di Santa Clara che riconosce i video coperti da copyright già durante la fase di caricamento da parte di utenti non autorizzati grazie alle tracce originali contenute nei propri server. Un patto che Youtube ha già stretto in Italia da alcuni anni con la Figc, con tredici club di serie A (Juventus, Milan, Inter, Roma e Lazio), Legabasket, Legavolley e la Federazione italiana tennis.

La Premier avrebbe potuto scegliere di monetizzare – lasciando che i video “pirata” fossero visibili, inserendo annunci pubblicitari durante la loro visualizzazione e intascandone i proventi – ma, secondo The Guardian avrebbe preferito bloccare i contenuti in fase di caricamento per non rischiare di svalutare i diritti televisivi, che frutteranno alle squadre circa 5,5 miliardi di euro fino al 2015. Esultano, oltre ai legali di Google, i tifosi inglesi che probabilmente potranno presto tornare a vedere e rivedere i gol sui canali ufficiali di Youtube delle loro squadre, alle quali durante il contenzioso è stato proibito d’inserire gli highlights.

Un tema, quello dei diritti tv, tra i più sentiti tra le squadre inglesi. Nel 1992 la Premier nacque proprio perché i venti maggiori club rivendicarono la possibilità di contrattare singolarmente i diritti tv e le sponsorizzazioni, all’epoca gestiti collettivamente da Football League e Football Association. E ora i vertici del calcio d’Oltremanica si scaldano già per la prossima crociata: riuscire a stoppare i siti che trasmettono in live streaming le partite di campionato. Pur avendo avuto successo, nello scorso luglio, in una causa che obbligava i maggiori fornitori di servizi internet a bloccare la possibilità di streaming, la vittoria non appare così scontata. Palla al centro, il novantesimo è lontano.

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