Sognando Gervinho, piccole società multietniche crescono ai confini del calcio che conta. L’ultima storia arriva da Mineo, paese alle pendici dell’Etna che ospita la varia umanità partita sui barconi dei trafficanti d’esseri umani del Mediterraneo per sbarcare su una spiaggia siciliana. Il Cara di Mineo è luogo dove si vive in una sorta di limbo, una monotonia spezzata a volte da rivolte e violenze. Ora una ventina di ragazzi di colore, tutti africani, inseguendo un pallone sfiorano anche l’idea di una vita quasi normale. La Federazione infatti ha dato il via libera anche se il campionato di terza categoria è iniziato da tre giornate: l’associazione sportiva prende il nome di Asd Cara Mineo, venticinque elementi che hanno lasciato le famiglie d’origine in Mali, Nigeria, Camerun. Ivana Galanti, vice presidente dell’associazione, al sito ctzen.it conferma che le difficoltà burocratiche per mettere insieme una squadra di richiedenti asilo non sono state poche, ma ora c’è la soddisfazione e l’attesa per il debutto, domenica in campo contro la formazione del Biancavilla.

Alla fine di ottobre, diversi ospiti del Cara di Mineo hanno dato vita ad una rivolta, occupando la statale Catania-Gela, lanciando sassi contro la polizia che voleva riportarli dentro. I responsabili della squadra ora giurano che i ragazzi che si sono impegnati negli allenamenti per farsi accettare nella selezione non vogliono altro che giocare, far parte del gruppo. Gli allenatori si chiamano Gianluca Trombino e Giuseppe Manzella, hanno pronti gli schemi di gioco basati sul classico 4-3-3, e sono confortati dai risultati positivi avuti nelle amichevoli anche con avversari di categoria superiore. Il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, ha concesso l’impianto comunale, che già ospita l’altra squadra del paese etneo. Per le trasferte si utilizzerà il pullman del Cara, la speranza è che la curiosità di giocare con una formazione di ragazzi di colore possa mitigare l’aggressività che spesso non manca sui campi di terza categoria.

L’iniziativa del Cara Mineo ricorda quella della squadra che a Rosarno è stata costruita sugli sforzi di trenta immigrati di colore, passati anche loro dallo sfruttamento nei campi e dalla rivolta nelle strade al rettangolo di gioco. In questo caso l’iniziativa è stata di un prete, don Roberto Meduri. Altra realtà simile è l’Afro Napoli United, società formata nel 2009 che quest’anno giocherà in terza categoria. In questo caso oltre ai calciatori africani ci sono pure giovani dell’Est e sudamericani che vengono da quartieri Sanità, Stella, Arenaccia. L’intento è sempre lo stesso, utilizzare lo sport – in questo caso il calcio – nel suo significato più originale: sacrificio, agonismo, confronto leale. Giocatori dalla pelle scura sognano Gervinho: o solo novanta minuti per correre con tutto il fiato che resta nei polmoni, finalmente liberi.

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