In un’intervista del 2008 il presidente dell’Ecuador Rafael Correa dichiarava che il suo paese al nord “confina con le FARC, non con la Colombia”. Ampie fette di territorio colombiano, concentrate principalmente nelle selve del sud-est e nelle pianure ai piedi delle Ande, sono da quasi 50 anni nelle mani del gruppo marxista-leninista che, secondo stime attendibili, conta su 8.000 uomini in armi, con un 25% di babies – guerriglieri secondo Human Rights Watch, oltre le migliaia di civili che formano le milizie urbane.

Un piccolo esercito che ha provocato migliaia di morti, ha saputo tenere in scacco per anni i governi colombiani, ha intrattenuto rapporti, secondo i detrattori, con i potenti cartelli della droga per fare proselitismi e autofinanziare la guerriglia. “El impuesto“, la “tassa” che l’organizzazione impone nei territori sotto la sua influenza, non è sufficiente a supportare il movimento.

Ma c’è un tempo anche per la pace. Dal 18 novembre del 2012 gli esponenti delle FARC sono seduti intorno allo stesso tavolo con i rappresentanti del Governo per negoziare la pace e mettere la parola fine ad un conflitto che dura da troppo tempo.

Cuba è il luogo del dialogo, il “Palacio de Convenciones” de L’Avana è il teatro di incontri che si protraggono da quasi un anno con segnali contrastanti: timide accelerazioni, frenate improvvise, marce indietro ma anche fulminei scatti in avanti.

Sono sei i punti in agenda: sviluppo agrario, partecipazione politica, fine del conflitto e reintegrazione sociale, una soluzione condivisa al problema delle droghe illecite, riparazione per le vittime e, infine, verifica degli accordi. Pochi giorni fa un comunicato congiunto ha reso pubblica l’intesa di massima tra le parti sulla partecipazione politica dei guerriglieri nel possibile scenario da post conflitto che si va delineando. All’opposizione viene garantito l’accesso alla politica, con propri movimenti di rappresentanza, e agli organi di informazione.

Non sono temi di poco conto, soprattutto se si volge lo sguardo ad un recente passato.

Negli anni ’80 un accordo di pace tra le FARC e l’allora presidente Betancur portò alla nascita della Unión Patriótica, un movimento politico vicino ai terroristi i cui membri furono nel tempo decimati. Il disegno governativo di eliminazione dell’opposizione lasciò sul campo un odore acre di morte: oltre 3000 gli assassinii, l’intera classe dirigente della formazione politica antagonista fu spazzata via da forze militari e paramilitari.

Altro che pacta sunt servanda, principio cardine della Convenzione sul diritto dei trattati secondo cui «ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede».

Il fragore delle armi, nella storia della Colombia, soppianta spesso le parole astratte e le buone intenzioni. Deve essere anche per questo che i rappresentanti delle FARC che da quasi un anno siedono al tavolo dei negoziati amano ripetere: “nulla è negoziato fino a che non sarà tutto negoziato”.

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