La polemica tra Stefano Fassina, viceministro dell’Economia, e il Movimento Cinque Stelle riguardo la proposta di legge per l’introduzione di una legge sul Reddito di Cittadinanza (RdC, che noi preferiamo chiamare “Reddito di Base”) è esemplificativa di come in Italia si affrontino in modo demagogico e strumentale questioni della massima importanza. Due sono i punti oggetto del contendere: l’ammontare delle risorse necessarie per portare alla soglia di povertà relativa individuale chi si trova al di sotto di tale livello di reddito (594 euro mensili quindi circa 7200 euro l’anno) e le fonti del finanziamento necessario per raggiuntare tale obiettivo.

La condizione di povertà relativa ha interessato nel 2012 più di 9,5 milioni di individui (+17 per cento rispetto al 2011 secondo l’Istat), un aumento che la dice lunga sulle condizioni di vita di questo Paese, soprattutto se si tiene conto che il 10 per cento della popolazione più ricca detiene oltre il 50 per cento della ricchezza complessiva. Il Movimento Cinque Stelle stima che le risorse necessarie perché tutti abbiano come minimo un reddito pari a 600 euro mensili ammonterebbero a poco più di 19 miliardi. Tale dato è stato ottenuto considerando due fattori:

 1. La distribuzione dei vari livelli di povertà per chi non arriva a 600 euro al mese. Ciò significa che ai 9,5 milioni di poveri relativi non verrà dato il RdC intero, ma solo l’integrazione necessaria a partire dal reddito posseduto. Ad esempio, chi ha avuto (come pensionato al minimo, come disoccupato con sussidio basso, come precario con reddito intermittente, come dipendente con basso salario, come studente in formazione, ecc.) un reddito medio mensile di 400 euro, riceverà un’integrazione sino a 600 (quindi 200 euro).

 2. Le risorse che già oggi lo Stato eroga sotto forma di reddito diretto, tramite trasferimenti o ammortizzatori sociali. Si tratta di una cifra che oscilla (per un livello sino a 600 euro) intorno ai 12-13 miliardi di euro. Una cifra che ogni anno viene già messa a bilancio dello Stato e che quindi non rientra nella legge di stabilità. Ne consegue che la stima dei 19 miliardi necessari per sostenere il costo dell’introduzione di un RdC è la cifra netta, non lorda. Ed è su questo punto che Fassina fa finta di non capire quando afferma che l’ammontare delle risorse sarebbe di oltre 30 miliardi di euro. Fassina fa infatti riferimento (così pare di capire, visto che ci si guarda bene dall’andare in profondità) alla cifra lorda, che infatti assommerebbe a poco di più di 30 miliardi. Sarebbe corretto, per trasparenza, che il vice-ministro, invece di sparare dati, ci dica come essi vengono calcolati. Noi l’abbiamo fatto e i calcoli sono tutti disponibili e verificabili con riferimento al 2010 e 2011. 

Torniamo alla questione del finanziamento, anche perché qui le posizioni sono diverse. La proposta del Movimento Cinque Stelle intende reperire le risorse dalle pensioni d’oro, dalla rinuncia agli F35, dall’introduzione dell’Imu per gli immobili della Chiesa, dall’introduzione di aliquote più alte sulla rendita finanziaria e da altri interventi, in buona parte condivisibili, ma che solo marginalmente toccano la struttura altamente iniqua del sistema fiscale italiano. Un sistema fiscale che necessiterebbe il ripristino di due principi basilari: che tutti i cespiti di reddito (indipendentemente dalla loro provenienza e quindi anche le rendite finanziarie) siano sottoposti a uguale tassazione in presenza di aliquote altamente progressive (in modo che i redditi più elevati paghino molto di più dei redditi meno elevati a differenza di ciò che avviene oggi) e che venga introdotta una patrimoniale sulle proprietà mobiliari e immobiliari oltre ad una determinata soglia (ad esempio 1 milione di euro).Una volta riformato in modo più equo il sistema fiscale, possiamo poi discutere di come gestire la spesa pubblica.

Il livore di Fassina rispetto a questa proposta dipende anche dal fatto che in tale legge si vuole introdurre una riforma dei Centri dell’Impiego, istituire un osservatorio di monitoraggio e controllo nell’erogazione di reddito e nel calcolo del numero dei suoi potenziali beneficiari, istituire un salario minimo di 9 euro l’ora (con buona pace della Camusso), prefigurare una fase di transizione perché il RdC vada a sostituire a regime l’attuale sistema iniquo, distorto e clientelare degli ammortizzatori sociali (tanto comodo alla Confindustria come al sindacato) e consentire di rifiutare sino a tre proposte di offerta di lavoro congrue (ovvero in linea con la condizione professionale, reddituale e territoriale del beneficiario). Non è la soluzione per noi ottimale, soprattutto se tale possibilità si accompagna comunque a una dichiarazione di disponibilità lavorativa non meglio precisata e all’obbligo di prestare comunque un numero limitato di ore di lavori socialmente utili.

San Precario è a favore di un Reddito di Base Incondizionato come remunerazione della vita produttiva al fine di sostenere il diritto alla scelta del lavoro. Ma, in ogni caso, pur con questi limiti, la proposta del Movimento Cinque Stelle è distante anni luce da quella del Pd (sponsorizzata proprio da Fassina) in termini di reddito di inclusione al lavoro, novello strumento di ricatto, subalternità ed elemosina, finalizzato a scaricare sulla collettività il costo sociale dello sfruttamento del lavoro precario e del lavoro tout court in nome del profitto e della compatibilità col sistema attuale.

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