Il 7 novembre 2012, il ministero dell’Interno del Bahrein fece segnare un nuovo picco nella storia delle violazioni dei diritti umani, revocando per decreto la nazionalità a 31 oppositori sciiti in quanto avevano “danneggiato la sicurezza dello stato”. A seguito del provvedimento, chi dei 31 era privo di doppio passaporto si ritrovò da un giorno all’altro apolide

La famiglia reale al-Khalifa, invece di affrontare le proteste in corso da due anni e mezzo e ripristinare il diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica del dissenso, non trovò dunque di meglio da fare che privare un gruppo di cittadini della loro identità nazionale.

Tra i 31 attivisti dell’opposizione colpiti dal decreto di un anno fa figurano l’ayatollah Hussain al-Najati e i fratelli Jawad e Jalal Fairouz, esponenti di al-Wefaq, la principale formazione politica sciita. I due fratelli hanno scelto l’esilio a Londra. Per i “senzapatria” rimasti in Bahrein, la vita è diventata più difficile da un anno a questa parte. Diversi di loro sono stati licenziati

Il decreto del ministero dell’Interno si basava sulla legge antiterrorismo del 2006. Nel luglio di quest’anno sono entrate in vigore nuove norme che aumentano le pene e autorizzano la revoca della nazionalità a chi è ritenuto colpevole di reati di “terrorismo”, descritti in modo vago e generico per potervi includere critiche e azioni legittime e pacifiche nei confronti delle autorità.

In occasione del primo anniversario del decreto dei “senzapatria”, Amnesty International ha chiesto il suo immediato annullamento e il ripristino della nazionalità a tutte le persone che ne sono state private.

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