La somiglianza tra i casi Alitalia e Telecom Italia è sorprendente: in entrambi i casi, infatti, i governi italiani si sono opposti al recupero di questi campioni decaduti da parte di stranieri, con il pretesto di un patriottismo obsoleto. Roma si mostra oggi più pragmatica.

Articolo originale di Pierre de Gasquet apparso il 29.10.2013 su Les Echos

Traduzione di Roberto e Claudia Marruccelli per Italiadallestero.info

Alitalia_Airbus_A320I fiori all’occhiello nazionali diventano rari nello Stivale. Alitalia, Telecom Italia e forse presto i cioccolatini Ferrero… La svendita è appena iniziata. Problemi di politica industriale? Di dispersione dei capitali o di cattiva gestione? In mancanza di cavalieri bianchi [tecnica finanziaria di difesa per impedire la scalata di una società, N.d.T.] i dottori Diafoirus [medico del “Malato immaginario” di Molière, N.d.T.] si affollano al capezzale delle grandi imprese italiane. Il vero antidoto non è tanto quello di nascondersi dietro un protezionismo strisciante difficile da confessare o un patriottismo economico fuori tempo massimo, ma piuttosto di capire se c’è ancora una strategia di alleanze da reinventare. Questo è vero tanto per Telecom Italia, storico operatore telefonico maltrattato da apprendisti investitori dell’ultim’ora, quanto per Alitalia, compagnia aerea in piena crisi ma che conserva ancora un punto di ancoraggio strategico nella Penisola.

“Non si tratta di protezionismo, ma del suo opposto”, ha replicato seccamente Palazzo Chigi al Financial Times per giustificare il recente ingresso di Poste Italiane nel capitale di Alitalia per cercare di evitarne il fallimento. Per il quotidiano della City, si tratterebbe del primo passo falso di Enrico Letta, colpevole di protezionismo strisciante o di patriottismo mascherato. È vero: cinque anni dopo l’inutile salvataggio da parte dei “capitani coraggiosi”, il nuovo piano di salvataggio di Alitalia assomiglia ancora ad una pezza incollata all’ultimo minuto – un passo indietro per farne due in avanti.

Come per la vicenda Telecom Italia – Telefonica, agli occhi dei liberali all’anglosassone, Alitalia avrebbe tutto da guadagnare a lasciarsi assorbire il più velocemente possibile da un operatore competente dotato di spalle più larghe. Paradossalmente, il governo Letta fino ad oggi sembra aver profuso i suoi sforzi più per rimettere in pista la compagnia aerea esangue che per preservare l’avvenire di Telecom Italia. Ora, è anche su questioni industriali così sensibili e sulla capacità di salvaguardare i posti di lavoro in circostanze difficili che si giudica la qualità di un governo di coalizione, sia pure a durata limitata.

A dire il vero, su questi problemi industriali il governo Letta dà più che altro l’impressione di navigare a vista e di voler recuperare quel che si può. Per ottenere il via libera da Bruxelles, dovrà ancora dimostrare che l’intervento delle Poste nei capitali di Alitalia non è un aiuto di stato illegittimo e che è conforme alle condizioni di mercato. In ogni caso, la manovra lascia il gusto amaro di una rabberciatura disperata.

Si deve constatare che se nel 2007 Air France-KLM era pronta ad investire 6 miliardi di euro nel rilancio di Alitalia, il gruppo franco-olandese esita ormai a immettervi 75 milioni di euro per diventarne il principale azionista. Lo si può capire. Con un valore di mercato inferiore alla metà di quello di EasyJet, Air France-KLM non ha più i mezzi per assumere il ruolo dispendioso di cavaliere bianco. Quanto ad Alitalia – con i suoi 23 milioni di euro di perdite mensili (750.000 euro al giorno) e il suo debito netto superiore ad 1 miliardo di euro – è da molto tempo che non fa più sognare gli investitori patriottici riuniti da Silvio Berlusconi nel 2008.

Il caso Telecom Italia presenta delle similitudini sorprendenti. Anche in questo caso la porta è già stata socchiusa ad un operatore straniero di peso nel 2007. Anche in questo caso, grazie ad un accordo con i suoi azionisti finanziari, la spagnola Telefonica si ritrova nelle condizioni di mettere le mani, nel 2014, sullo storico operatore italiano paralizzato dal suo debito (28,8 miliardi di euro) per un prezzo da svendita di 850 milioni di euro – due volte meno di quanto pagato da LVMH per il produttore di cachemire Loro Piana.

Coraggiosamente, il presidente della Commissione per l’Industria del Senato, Massimo Mucchetti, ha lanciato qualche giorno fa una proposta super partes che punta a modificare il regolamento Draghi e ad abbassare la soglia oltre cui scatta l’Opa obbligatoria [pari al 30%, N.d.T.] in caso di controllo di fatto, per costringere Telefonica a pagare un prezzo elevato (o giusto) o a fare marcia indietro. Secondo il senatore democratico, “dare il via libera a Telefonica a queste condizioni scandalose sarebbe una fuga dalle responsabilità nazionali”.

Solo un punto d’onore? Più ancora di quella di Alitalia, la deriva di Telecom Italia, in gran parte legata al peso storico di un indebitamento massiccio ereditato dalla fusione Olivetti-Telecom prima del suo passaggio a Pirelli nel 2001, illustra gli effetti devastanti del “capitalismo senza capitali” all’italiana. Paradossalmente, uno dei paesi pionieri nella telefonia mobile (il prepagato è un’invenzione italiana) si ritrova oggi con uno dei tassi di diffusione di internet ad alta velocità più bassi d’Europa e le tariffe tra le più elevate sulla telefonia fissa.

Telecom Italia paga un tributo pesante alla sua gestione anchilosata legata ad un’azionariato frammentato ed instabile. La cosa più preoccupante è che questa cultura burocratica minaccia di conquistare l’insieme del settore della telefonia mobile, settore in cui oggi la qualità del servizio nello Stivale è caduta a uno dei livelli più bassi d’Europa.

protezionismo mascherato né patriottismo da quattro soldi, oggi il “metodo Letta” assomiglia piuttosto ad un pragmatismo da ultima spiaggia. Non è detto che sia coronato dal successo. Il peggio sarebbe cedere alla tentazione di una forma di patriottismo a buon mercato in cui si tenta prima di tutto di salvare il salvabile, senza cambiare in profondità la cultura incancrenita delle imprese in questione.

 

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