Basta con i pesticidi: l’appello arriva in Francia per la prima volta da un gruppo vasto ed eterogeneo di interlocutori, che comprende ricercatori, medici, rappresentanti di Ong, ma anche politici, sia di sinistra che di destra. Dopo anni di silenzi imbarazzati, sull’argomento è stato rotto un tabù, in un Paese dalla produzione agricola importante, soprattutto nelle colture estensive, dove il ricorso agli antiparassitari è più massiccio. La petizione (già definita “appello di Montpellier“, perché nella città del Sud della Francia si è tenuto a fine agosto un primo incontro che ha poi portato all’iniziativa) chiede al governo francese e alle autorità pubbliche in generale di ridurre la possibilità di ricorrere ai pesticidi e addirittura di proibirli al 100%, dove possibile.

Il documento è stato sottoscritto, fra gli altri, da una cinquantina di parlamentari e di politici di amministrazioni regionali e locali, anche Delphine Batho, ex ministro dell’Ecologia dell’attuale governo, capitanato dal socialista Jean-Marc Ayrault, e Chantal Jouanno, titolare dello stesso dicastero ai tempi di Nicolas Sarkozy. Un’iniziativa dai toni bipartisan, che vede tra i promotori pure personaggi di punta della medicina d’Oltralpe, come Charles Sultan, specialista di endocrinologia presso l’ospedale Chru di Montpellier. I firmatari della petizione riconoscono gli sforzi già fatti in Francia nel settore “vista la diminuzione netta delle quantità vendute di pesticidi dal 1998”, ma ritengono “allarmante il fatto che ormai da tre anni la flessione si sia arrestata”.

E questo in una fase in cui emergono nuovi dati allarmanti. Un organismo pubblico, il Commissariato generale per lo sviluppo sostenibile, ha presentato nei mesi scorsi i risultati preoccupanti di un’inchiesta: il 90% dei corsi d’acqua francesi è caratterizzato da “una presenza generalizzata” di pesticidi. Nel giugno scorso l’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserm) aveva evocato “una forte presunzione del fatto che i rischi di malattie come quelle neurodegenerative o certi cancri, come quello del sangue, siano resi maggiori dall’esposizione ai pesticidi“. Si tratta di quella diretta per i lavoratori agricoli o nel caso di persone che risiedano nei pressi di aree dove i prodotti siano utilizzati in misura massiccia. Ma ormai si comincia a puntare il dito anche sulla possibilità di residui negli alimenti.

Intanto, proprio nei giorni scorsi, la Federazione francese degli apicoltori professionali (Ffap) ha lanciato un nuovo grido d’allarme riguardo al proprio comparto. “Esiste una reale urgenza: dobbiamo fermare l’emorragia delle api – ha ricordato Yvan Goutequillet, protavoce della Ffap -. In alcune delle nostre imprese la mortalità sta aumentando del 50% da un anno all’altro”. Secondo le stime generali della federazione, il tasso di mortalità delle api in Francia è aumentato dal 5% negli anni 90 al 30% attuale. E all’origine ci sarebbero sempre i pesticidi. Va, infine, ricordato che a fine agosto lo Stato francese è stato condannato in appello a indennizzare un agricoltore, malato di cancro, provocato da sostanze tossiche contenute nei pesticidi ed erbicidi. Una trentina di casi simili sono al momento attuale all’esame della magistratura. Ma quello di Dominique Marchal, produttore cerealicolo, è il primo a essere arrivato a questo grado di giudizio. Lo Stato francese, comunque, accusato fra le altre cose di non aver imposto ai fabbricanti di inserire avvertenze sui rischi riguardo al cancro nelle etichette dei pesticidi, ha già fatto ricorso alla Cassazione. Nel caso di condanna definitiva potrebbe rivalersi sui produttori di pesticidi. Che si ritroverebbero a subire una lunga serie di indennizzi da pagare. Ora che il tabù sui pesticidi si sta sgretolando.

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