In questi giorni è stato dato grande risalto al rapporto pubblicato dall’OCSE contenente l’elaborazione dei dati del Better Life Index, un progetto che aggrega diversi indicatori concernenti 11 dimensioni del benessere: reddito e patrimonio, servizi abitativi, lavoro, vita di comunità, istruzione, ambiente, civismo, salute, benessere soggettivo e soddisfazione, sicurezza, conciliazione dei tempi di vita. L’Italia si classifica al ventinovesimo su trentaquattro posti, con una riduzione della soddisfazione di ben 12 punti percentuali (solo la Grecia trafitta dall’austerity ha fatto peggio, con un meno 20 per cento). Nulla di nuovo, invero, se si considerano i risultati appena pubblicati del World Happiness Report. Anche il progetto di ricerca dell’Onu monitora la dimensione del benessere soggettivo e registra, per l’Italia, un crollo verticale, con il quarantacinquesimo posto del ranking e una perdita, in un solo anno, di diciassette posizioni.

Se ancora non siete contenti, poi, basta guardare alle ottime statistiche prodotte in casa nostra. Il rapporto del Bes, presentato dall’Istat nello scorso marzo, parla chiaro. Il Benessere Equo e Sostenibile è definito, sulla falsa riga di quanto proposto dall’OCSE, su 12 dimensioni di benessere, con una dettagliata raccolta di 134 indicatori che riguardano: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. Anche il documento dell’Istat è un’impietosa carrellata sulle forti sperequazioni sociali, di genere e territoriali che caratterizzano molte dimensioni che vanno a comporre il benessere nel Belpaese. Ovviamente, la crisi colpisce profondamente le costituenti fondamentali dello ‘stare bene’, che sono reddito e occupazione. E va a intaccare, di riflesso, anche le altre dimensioni.

Ora, la multidimensionalità del benessere è riconosciuta sia dalla letteratura accademica (sviluppata da decenni) sia da istituzioni politiche che, sempre più, ne riconoscono l’importanza. La complessità del tema in oggetto merita attenzione e approfondimento, come viene mostrato qui e qui. Allora le questioni sono due: la prima è che, nei dibattiti concernenti il benessere, non va mai trascurato il ruolo giocato dall’indicatore principe, che sarebbe il reddito (Pil in aggregato). Esso è strettamente correlato con l’occupazione e, gioco forza, con la salute e molte altre dimensioni. Il rischio è che, appunto, una lettura superficiale della letteratura sulla valutazione della qualità della vita finisca con il togliere il peso essenziale giocato da una componente strutturale del nostro ‘stare bene’. La seconda, invece, è strettamente politica: visto che la complessità del concetto di benessere ha ormai aperto una breccia anche nel cuore delle istituzioni più conservatrici, come è possibile che le statistiche oggi disponibili diventino strumento di vero cambiamento sociale e non un mero orpello per il compiacimento accademico di pochi?

Qui l’Italia, forse, può indicare la strada paradossalmente. In tempi di legge di stabilità e dibattiti tutti incentrati su tagli infinitesimi del costo del lavoro e abolizione della tassa sulla casa (accompagnato da aumento complessivo della pressione fiscale), si tratta di rivedere drasticamente l’approccio. I numeri, per avere una qualche utilità, devono essere messi al servizio di un obiettivo strategico e politico. Non può essere che l’obiettivo politico sia messo al servizio del numero. Il recupero etimologico della parola ‘statistica’, intesa come servizio di raccolta di informazioni che intervenga sulla realtà di uno stato, migliorandola, è priorità che necessita di un progetto. In tempi di Big Data e di una capacità computazionale senza paragoni col passato, la statistica deve e può diventare strumento di educazione e di innovazione sociale. Fatto questo, i dibattiti sulla parola ‘crescita’ diventano sterili perché non è la parola, a costituire il problema, ma il modo in cui viene interpretata e, appunto, progettata.

Luciano Canova

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