Leggo con soddisfazione che i Radicali, hanno fatto approdare in Parlamento una proposta di iniziativa popolare che punta a legalizzare l’eutanasia in Italia. Non dico l’approvazione, quella si sarebbe il chiaro segnale che nel Bel Paese una rivoluzione culturale è in corso, ma anche solo la discussione di un testo che vorrebbe disciplinare la scottante tematica del “fine vita” sarebbe già un risultato straordinario. Perché eutanasia e suicidio assistito sono e restano tematiche taboo (non solo in Italia): in Olanda, ad esempio, ci sono voluti 30 anni di dibattito e alcuni eclatanti casi di cronaca affinché si giungesse all’approvazione di una normativa. Nel nostro paese, non manca certo l’interesse (solo in Italia, i sondaggi in materia, mostrano un’opinione pubblica nettamente favorevole all’adozione di una disciplina ) ma la complessità della tematica, rende la politica odierna, legata  ai 140 caratteri di Twitter ed al consenso a tutti costi, del tutto inadeguata ad affrontare temi etici e filosofici “scomodi” come il fine vita.

Ecco allora che il ruolo della società civile e delle associazioni diventa cruciale: lo è stato nei Paesi Bassi per sensibilizzare i cittadini sulla necessità dell’approvazione di una disciplina, potrebbe esserlo in Italia per sbloccare lo stallo che da anni impedisce qualunque passo avanti sul tema. In Olanda, dicevo, ci sono voluti 30 anni e solo grazie alla tenacia dell’associazione Nvve il Parlamento, a stragrande maggioranza, approvò nel 2002 il Toetsing levensbeenindiging op verzoek en hulp bij zelfdoeing. Intervistai qualche anno fa, per il Fatto Quotidiano, Walburg de Jong, portavoce dell’associazione, che mi raccontò la loro battaglia: “La tematica dell’eutanasia ha riguardato il rapporto tra paziente e medico, un rapporto professionale e umano. Accade in tutto il mondo che pazienti senza speranza di guarigione e costretti a enormi sofferenze, facciano richiesta al medico di terminare la loro esistenza in maniera dignitosa. E accade in tutto il mondo che medici convinti della fondatezza della richiesta, rischino conseguenze penali, pur di rispettare il dovere etico di agire per il bene del paziente”. Partendo da queste premesse, la Corte Suprema olandese, ha costruito dagli anni ’70 fino al varo della normativa, una giurisprudenza volta a riconoscere questo rapporto di fiducia reciproca. E su questa fiducia, si è basata anche la scelta del dott. Flip Sutorius, un medico di Haarlem, città alle porte di Amsterdam, che nel 1998 aiutò un paziente ex-senatore, a concludere la sua esistenza. Il caso di cronaca sollevò molta emozione nel paese e diede la spinta decisiva affinché il parlamento approvasse la normativa.

Ho avuto modo di incontrare anche Sutorius che mi ha descritto nel dettaglio la procedura prevista dalla normativa olandese (il doppio parere medico e la verifica ex post da parte di una commissione provinciale) e si è soffermato anche sul toccante racconto di vita dell'”uomo” medico e della sua enorme responsabilità giuridica e morale, nell’acconsentire o meno alle richieste di dolce morte. Perché, mi diceva, “i parenti possono chiudersi nel loro dolore mentre io devo seguire il paziente fino alla fine e onorare il mio impegno anche se è umanamente struggente”. I medici che scelgano di praticare l’eutanasia non lo fanno certo a cuor leggero: anni di esperienza e migliaia di casi affrontati non diventano mai routine ha detto ancora Sutorius.

E le percentuali stabili di decessi nel decennio di regolamentazione, circa il 2,8 per cento sul totale, infondo danno ragione a chi si è battuto per la trasparenza  In Olanda, dove circa il 70 per cento dei medici pratica l’eutanasia, dal 2002 non c’è stato un incremento delle richieste e in diversi casi, le commissioni provinciali hanno indagato su medici che non avrebbero rispettato il rigido protocollo previsto dal ministero della sanità: questo a riprova che i meccanismi di controllo funzionano e che lo Stato ha a disposizione un quadro ben definito del problema. La trasparenza poi, in un paese dove oltre 2/3 della popolazione è favorevole alla libertà di scelta (nel 2002 erano “solo” il 50 per cento) ha contribuito in maniera determinante al dibattito ed all’informazione.

L’Italia è un terreno molto difficile per le discussioni etiche ma la percentuale di cittadini favorevoli all’eutanasia non sembra discostarsi di molto da quella olandese. Ragion per cui l’iniziativa dei Radicali, assume un valore simbolico molto importante. 

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