Ci sono segnali inquietanti. Al vernissage di una importante mostra milanese, non si è presentato nemmeno un volto noto, uno stilista di grido, uno straccio di vip, un avanzo da Isola dei Famosi. Nessuno. Oddio ci è scomparso il jet-set! E adesso come faremo? Il grido di allarme viene da un famoso sito di gossip che compiange il destino di Milano passata in pochi anni dallo sfavillio della metropoli da bere, al mortorio di una città da bare. Rievocando il traffico nevrotico, la magica apparizione di vip tra i fotografi, le code assatanate dei presenzialisti, volti noti con dichiarazioni sempre acute, il fulgore degli eventi mondani su su fino alle cene più eleganti tra tutte, l’autore della cronaca è preso da grande tristezza. Di fronte alla Milano disertata di oggi arriva a concludere: “cominciamo a rimpiangere i tempi di Lele Mora e delle showgirl”.

Ora, di fronte alla fatica immane che abbiamo fatto per liberarci di queste scorie di trash immondo (ammesso che la fase sia conclusa) io credo che non ci sia spazio per l’ironia. La questione va inquadrata seriamente: dobbiamo apprezzare la progressiva scomparsa di quello stile di vita come una autentica liberazione, la piazza pulita di quei volti, da quel pacchianesimo come un principio di salute, la possibilità che finisca un periodo di piena e inesorabile decadenza. Quel modello è giunto al capolinea non per i bilanci saltati, ma per lo smarrimento totale dei valori e l’abbrutimento dei rapporti sociali a cui abbiamo tutti assistito e subito. Il silenzio di ora è musica per tutti coloro che hanno tentato di conservare negli anni un barlume di gusto e di senso della dignità, che è il più delle volte senso della misura e del limite, tutte cose screditate ai più alti livelli.

Come ha detto Papa Francesco in una recente omelia “l’idolatria del denaro è alla radice di tutti i mali” ed è questo abbaglio che ha corrotto la nostra convivenza riempiendola di vanità. Il denaro è uno straordinario mezzo di sviluppo, ma è appunto un mezzo. Se diventa un fine divora ogni cosa. Le scuole fin dalla tenera età devono educare su questo punto. Non so quello che succederà, ma alla mia età mi concedo un certo ottimismo proprio perché vedo questi segnali di cambiamento. Un passo per volta e forse la bellezza delle donne smetterà di essere una merce, un abito tornerà ad essere un abito e non un’opera d’arte, un calciatore tornerà ad essere un baldo giovane che sa indirizzare la palla e non un mito da inseguire. Forse inizieremo a veder premiato lo studio, le capacità, e il sudore per l’attesa, e si ricomincerà a riassaporare il pane guadagnato con il lavoro, e non con una foto. §In una parola una vita che sa di vita, che da sempre è un percorso sofferto, e che induce a conoscersi e porsi domande che ti fanno essere, e senza le quali non sei. Sono sempre più convinto che la ragione di questa crisi sia filosofica e non soltanto economica. 

Tornando allo spunto, bisogna avere vedute ristrette per pensare che sia sopraggiunto il “vuoto” dopo i bagordi. Il vuoto non esiste, Milano finalmente può aprirsi a nuovi fermenti e creatività, magari anche nel tessile, cosa non può avvenire dall’oggi al domani. Queste serate poco luminose vanno interpretate come segnali di un cambiamento, che è opportunità di migliorare.

PsS: Mi concedo se possibile una nota personale. Già 10 anni fa era sufficiente uno sguardo attento per capire in quale direzione andavamo. Tempi in cui l’impiegato appena promosso entrava in banca e trovava credito per i consumi più futili, la barca, viaggi, auto potenti. Non era normale. Poi ci fu l’11 settembre di New York che aprì gli occhi a molti. Io come imprenditore ho preso importanti decisioni in quegli anni, facendomi anche dei nemici, alcuni dei quali oggi mi chiamano per ammettere per la correttezza di certe previsioni. 

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