La strana dieta del Senato, dove il vitalizio non solo resta ma aumenta e far mangiare l’onorevole costa il doppio che un dipendente qualsiasi. Anche quest’anno, puntuale, arriva la bolletta del Senato. Ci costa un po’ cara a dire la verità, oltre 520 milioni di euro, ma poteva pure andare peggio. A Palazzo Madama sono stati approvati rendiconto 2012 e bilancio interno per il 2013 con la sola astensione del Movimento 5 Stelle e due voti contrari. E tutti a far di conto per capire se la camera alta d’Italia ci è costata più o meno di sempre. Sul punto c’è stata subito polemica, con i Cinque stelle che hanno denunciato “trucchi contabili” mentre relatori e questori informavano in pompa magna che il Senato “costerà ai contribuenti italiani 34 milioni di euro in meno nel 2013 e 100 milioni nel prossimo triennio. Siamo tornati ai livelli di dieci anni fa”. Il confronto diretto tra rendiconto 2011 e 2012 lo conferma, evviva. 

I senatori, in effetti, cedono qualcosa sul fronte delle competenze, indennità e diarie, che sono passate da 48,5 a 42,6 milioni di euro, un altro per le attività di mandato (a quota 20.301.176 euro) e due sul trattamento dei “cessati” che non ci costano più 75 milioni ma “solo” 73 . E’ abbastanza? Forse no, ed è per questo che durante la discussione sono stati approvati ordini del giorno per limare ancora costi e spese al prossimo giro. Con propositi non esattamente “rivoluzionari” sotto il profilo dei conti. Nella babele di privilegi ai soli senatori a vita è rimasto quello di ricevere tutta la parte variabile della diaria senza essere subordinati a un’effettiva presenza in Aula. Ma ora basta. Lo sgambetto tra senatori passa con un plebiscito: 254 voti a favore,  contro 4 no e 4 astenuti. Peccato siano solo sei e la decisione – che impegna il Senato ma non è operativa sul bilancio in discussione – avrà vasta risonanza ma effetti a dir poco contenuti a fini del conto economico. Certo, vista la bolletta, meglio portare a casa anche quello.

Di maggior portata sono invece le aspettative suscitate, sempre per l’anno prossimo e sempre che vengano adottate, dall’ordine del giorno relativo ai costi per il trasporto e trasferimento dei senatori. Una voce effettivamente imbarazzante, anche nel bilancio 2012: 7 milioni di euro per far trotterellare gli onorevoli su e giù per l’Italia. Ecco allora la proposta avanzata dai Cinque Stelle: stipulare convenzioni anche con le compagnie low-cost. Passa anche questo, tocca poi vedere se e come si riuscirà a costringere chi è abituato a viaggiare largo per questioni di “prestigio” a rinunciare alla comodità. Visto che perfino una volta cessati dal mandato non rinunciano a pesare sul conto del Senato, con 239mila euro di rimborsi per trasporti. 

Comunque sia nel derby sui risparmi alcune voci significative si perdono e vale la pena focalizzarle. La parola “vitalizi”, per quanto vituperata, campeggia ancora nel bilancio con cifre importanti. Sono “spese obbligatorie” e infatti nessuno le tocca: nel 2011 questo capitolo era sceso a 54.730.486,91 ma nel 2012 l’assegno staccato agli onorevoli costa 300mila euro in più, nonostante una riduzione del 5 e 10% su quelli più elevati (che fa risparmiare solo 145mila euro, non di più). Anche gli assegni di reversibilità restano stellari: 17,4 milioni con un “risparmio”, si fa per dire, di 29mila euro.

Corrono anche le spese per attività istituzionali: otto milioni per le comunicazioni, due milioni di cerimoniale e così via. Insomma, traducendo a parole quello che il bilancio dice con le cifre si può tranquillamente affermare che l’austerity del Senato non ha messo a rischio il suo prestigio. Alcune voci nelle pieghe del bilancio spingono poi fanno più discutere di altre: come è possibile che 315 senatori “mangino” più di 841 dipendenti? In effetti confrontando i tributi di sangue imposti dai senatori al Senato stesso emerge un certo divario tra il taglio dei costi propri e quelli dei dipendenti, di cui pure si servono. Con effetti contabili sorprendenti, anche sul piano simbolico. Prendiamo il capitolo 1.19 “servizi di ristorazione“: per alimentare i senatori sono stati spesi 610mila euro, quasi 2mila euro a seggio, per 841 dipendenti la spesa è stata di 1.069.697, pari a 899 euro a testa. Senza contare che i dipendenti stan lì tutti i giorni mentre l’onorevole compare due volte a settimana, salvo passaggio in commissione. In pratica, nutrire un senatore ci costa ancora il doppio che un mortale non eletto. Stesso discorso per le retribuzioni. A pagare il prezzo più alto sono i dipendenti, non gli eletti: con un risparmio secco di 5,5 milioni.

Un altro ordine del giorno approvato ieri punta a dematerializzare i costi di stampa con la digitalizzaione degli atti parlamentari. In effetti questa voce, che il buon senso avrebbe indicato in picchiata, addirittura sale: per stampare, rilegare, pubblicare la mole di carta già immagazzinata sul server del Senato si riescono ancora a spendere quasi 700mila euro l’anno, 100mila euro in più rispetto al 2011. Inossidabile poi la spesa di manutenzione di Palazzo Madama: pulizie e facchinaggio pesano sulla nostra bolletta ancora 4,4 milioni, la bolletta telefonica 708mila euro. L’elenco si può chiudere con 7mila euro di posate, grande consolazione visto che nel 2011 se ne sono comprate per 22mila euro. Forse il segnale più forte che la grande abbuffata, un giorno, finirà. Ma non domani.

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