L’annullamento del voto della giunta per le elezioni sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore neanche si pone. Il presidente del Senato Piero Grasso l’ha detto una volta di più e questa volta all’interno del consiglio di presidenza di Palazzo Madama, chiamato a valutare la presunta irregolarità del voto in giunta. In particolare l’organismo doveva capire se la validità della decisione presa dalla giunta presieduta da Dario Stefàno (e che ormai è vecchia di oltre un mese) fosse stata inficiata dal comportamento di alcuni componenti (in particolare Vito Crimi del Movimento Cinque Stelle) che durante la discussione – anche in camera di consiglio, quindi a porte chiuse – avrebbero pubblicato alcuni messaggi contro lo stesso Cavaliere. Ma, appunto, per il presidente Grasso non esistono i presupposti per invalidare la decisione della giunta sulla decadenza di Berlusconi. La questione è da considerarsi dunque chiusa anche in Consiglio di presidenza. 

Ma è qui che il Pdl puntella l’ennesima battaglia senza quartiere e la strategia è chiara: si deve rinviare il più possibile per cercare di rinviare il voto fissato al 27 novembre. Maurizio Gasparri – che è anche vicepresidente del Senato – lo dice apertamente: “La questione deve essere ulteriormente affrontata perché in mancanza di un esame compiuto non si potrebbe procedere alla votazione in Aula del 27 novembre”. I berlusconiani, d’altronde, usano tutte le armi in proprio possesso per rallentare il più possibile il percorso che dovrebbe portare l’ex presidente del Consiglio all’espulsione dal Parlamento in forza della legge Severino da applicare alla condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale.

E quindi, quando il consiglio di presidenza ancora doveva concludersi, i componenti del Pdl se ne sono andati, facendo mancare il numero legale e impedendo così che la seduta si concludesse. Secondo quanto hanno riferito i senatori del Popolo delle libertà Grasso avrebbe anche detto che comunque il consiglio di presidenza non è competente per decidere. A quel punto hanno lasciato la sala i senatori del Pdl Alessandra Mussolini, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Maurizio Gasparri, quello di Grandi autonomie e libertà Lucio Barani e quello della Lega Nord Roberto Calderoli. I parlamentari del centrodestra chiedono infatti un’istruttoria e una decisione sulla validità della decisione della giunta. Grasso, riferiscono, avrebbe affermato che si possono valutare al più delle sanzioni nei confronti dei membri che hanno comunicato con l’esterno (e in effetti la procedura contro Crimi è partita). E ora gli stessi senatori di centrodestra chiedono la riconvocazione del consiglio di presidenza.

Tuttavia Grasso fa sapere che considera la discussione chiusa, perché non era necessaria alcuna votazione del Consiglio di presidenza e di conseguenza non era necessario il numero legale. Dunque, Grasso non reputa di dover tornare a convocare il Consiglio di presidenza su questa questione. In base al regolamento del Senato, era nel potere del presidente investire eventualmente il Consiglio della questione sollevata dal Pdl di invalidità della decisione della giunta del Senato. Ma Grasso non intende farlo, perché valuta che non esistano i presupposti per annullare il voto della giunta. Il presidente ha dato ampio spazio a tutti per esporre le loro posizioni, si fa sapere da palazzo Madama. L’articolo 118 del regolamento del Senato, viene spiegato, afferma infatti che “in ogni caso di irregolarità delle votazioni, il presidente, apprezzate le circostanze, può annullarle e disporne l’immediata rinnovazione, con o senza procedimento elettronico”. Ma il presidente della giunta per le elezioni, Stefàno, ha ritenuto di non dover invalidare il voto, nonostante già in corso di seduta il Pdl avesse sollevato la questione dei messaggi pubblicati sui social network da alcuni senatori nel corso della camera di consiglio.

Ad avviso di Grasso, spiegano ancora fonti della presidenza, si sarebbe potuto intervenire con sanzioni ai senatori membri della giunta per la pubblicazione di post (come quello di Crimi contro Berlusconi) eventualmente ritenuti offensivi o lesivi di qualche norma. Ma nonostante la questione sia stata affrontata in un precedente Consiglio di presidenza, nessuno ha proposto alcuna sanzione.

Renato Schifani carica la giornata di oggi di ulteriore significato e l’obiettivo è alzare il più possibile il polverone. “I lavori del Consiglio di presidenza non si sono conclusi perché è mancato il numero legale. Ove il presidente Grasso li ritenesse conclusi, chiediamo l’immediata convocazione di un nuovo Consiglio di presidenza per sapere qual è l’organo del Senato davanti a cui si può appellare la decisione della giunta. Se Grasso ritiene chiusi i lavori del Consiglio di presidenza noi ne chiederemo immediatamente una riconvocazione. Chiediamo chiarezza e non arretreremo di un passo su questo”. “Il principio della inappellabilità e indiscutibilità delle valutazioni della giunta – aggiunge Schifani – è impossibile da accettare. Qualunque organismo interno al Senato ha il diritto-dovere di essere controllato da un organo superiore”.

A Schifani risponde il capogruppo del Pd Luigi Zanda: ”Non posso credere che il presidente Schifani, che è stato anche presidente del Senato, non sappia che il consiglio di presidenza non c’entra niente con i lavori della Giunta per le elezioni. Mi chiedo perché se ne è occupato e perché se ne dovrebbe occupare ancora”. “Non esiste – afferma Zanda – nessun rimedio successivo alle decisioni della Giunta per le elezioni. Dobbiamo stare molto attenti quando mettiamo in discussione la terzietà del presidente del Senato. Custodirla è utile a tutti noi, noi dobbiamo proteggerla e non metterla in dubbio per nostri interessi del momento. Altrimenti danneggiamo il Senato e i nostri personali interessi politico-democratici”.

Intanto Berlusconi accelera per ricompattare il partito e mettere in difficoltà i governativi che “resistono” alla rinascita di Forza Italia. Il Cavaliere ha infatti firmato la convocazione del consiglio nazionale del partito per il 16 novembre. Le lettere sono quindi partite per informare tutti i componenti, circa 800. Inizialmente la data prevista per l’assise era l’8 dicembre. Pare che con la decadenza non c’entri nulla e invece è vero il contrario. Un piccolo indizio arriva da una dichiarazione di giornata di Sandro Bondi, ormai irriducibile: “Se si voterà la decadenza, lascerò il partito”

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