Il Paese vive nel cuore di una crisi globale mai vista. Ma, prima con un Governo tecnico dimostratosi incapace di invertire una deriva fortemente negativa per il Paese, con misure che avevano colpito sempre le famiglie, le imprese, le categorie sociali e le realtà territoriali deboli, ed ora con il Governo Letta, che vive di annunci e di rinvii, dimostratosi forse, anche peggiore del precedente, non riesce a vedere un futuro di rinascita economica e civile. Così pensionati, operai, impiegati, madri di famiglia, artigiani, piccoli imprenditori, lottano ormai quotidianamente con l’aumento delle tasse, delle accise, delle addizionali regionali, comunali e provinciali, con l’aumento delle bollette, e per di più scontano sulla loro pelle e sulle loro tasche la riduzione progressiva dei servizi pubblici.

Mentre tutto ciò avviene, nel contesto di in una pericolosissima recessione, invece, banchieri, dirigenti pubblici, magistrati, generali, prefetti, primari, questori, parlamentari, politici, professori universitari, amministratori regionali, provinciali e comunali, dirigenti di società pubbliche, tutti questi signori continuano, tutti, a vivere alla grande, mantenendo, intatti, i costosissimi privilegi accumulati in questo ultimo ventennio di pianificata spoliazione dell’erario e, per di più, continuano a praticare lo spreco delle risorse con il clientelismo e la corruzione, a curare i propri interessi di carriera. Tutto ciò grazie probabilmente a loro fiduciari collocati in posizione strategica all’interno prima del Governo Monti ed ora in quello Letta.

La spending review è diventata, così, una caccia ai fuscelli, perché ha evitato di vedere le grandi travi che si frappongono alla ripartenza del Paese, ma intanto si sono desertificati i territori dei servizi, con costi umani, sociali, ed economici molto più alti. Ci si arrampica sugli specchi per poter approvare una legge anticorruzione meritevole di tale nome, senza, peraltro, riuscirci e senza tener conto che non si può affidare tale compito solo a questa magistratura, la quale, a fronte di pochi manipoli di magistrati leali alla Costituzione, presenta, come la cronaca di questi anni ci ha consegnato, sempre più larghe realtà di comportamenti di collusione con il potere politico e amministrativo e di conseguente corruzione, a tale livello da vanificare gli effetti anche della migliore legge possibile. Basterebbe, invece, introdurre nel codice penale, come è avvenuto nel 1999 in Argentina, anche grazie alla predicazione dei Gesuiti e pertanto “legge Bergoglio”, un solo articolo di sei righe che punisca l’arricchimento illecito di funzionari ed impiegati (art. 268 C.P. Rep. Argentina).

Sull’evasione fiscale ci si affida a strumenti ed iniziative estemporanee come il Redditest. Bene ogni iniziativa volta a contrastare l’evasione, ma concentrarsi sui redditi bassi, come vuol fare il direttore dell’Agenzia delle Entrate, rischia di essere un altro spot come quelli a Cortina e Capri. Il milione di famiglie che “non dichiarano, ma spendono”, oltre a evidenziare anche marginali fenomeni di evasione, evidenziano, soprattutto, movimenti di risorse finanziarie non illegali e quindi di nessuna utilità al fisco, come la solidarietà delle reti familiari, o altri fenomeni come l’accattonaggio e la prostituzione, la quale da sempre rappresenta il più importante meccanismo di redistribuzione del reddito, movimentando oggi in Italia, non meno di 60 miliardi annui. Pertanto si rischia (oppure si vuole?) di impegnare il lavoro delle Agenzie su obiettivi poco remunerativi.

Quello che questo Governo né può, né sa fare è quello di applicare l’unica ricetta giusta: abbattere il debito senza provocare la recessione. Si voleva eliminare Imu e non aumentare Iva, ma poi si è aumentata l’Iva e si riproporrà anche l’Imu; si guarda sempre nelle tasche delle famiglie di lavoratori e pensionati e delle piccole e medie imprese. C’è, invece, uno strumento “facile facile” alla portata di tutti, anche del ministro Saccomanni, purché abbia “occhi per vedere” ed “orecchie per sentire”, per stanare l’immenso tesoro che le burocrazie pubbliche vogliono che non si veda e cioè: le centinaia di miliardi di euro accumulati dagli evasori fiscali, dai corrotti e dalle organizzazioni mafiose: i redditi nascosti al fisco diventano, nella quasi totalità dei casi, seconde o terze case, macchine di lusso, partecipazioni azionarie, Buoni del Tesoro etc., cioè nuovo patrimonio. Quindi la soluzione più semplice, più giusta e più attuale, che può costituire il primo passo per ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni è la previsione di una tassa patrimoniale rivolta agli evasori, ai corrotti ed alle organizzazioni malavitose.

Si obietta: la patrimoniale colpisce tutti, evasori e non evasori, corrotti e non corrotti, mafiosi e persone oneste. È vero, la patrimoniale è “cieca”, però può essere “aiutata” a cercare i patrimoni illegali. Basta prevedere una detrazione da parte dei contribuenti fedeli di una percentuale dell’Imposta sui redditi pagata, tale da far sì che se il patrimonio di cui è titolare un contribuente risulti “compatibile” con i redditi dichiarati nel corso del tempo in cui si è formato il patrimonio stesso, l’esborso di tale contribuente sarà prossimo allo zero, cioè una “patrimoniale zero”

Le stime della Banca d’Italia dicono che la ricchezza complessiva in mano ai privati del Paese è di poco inferiore ai novemila miliardi di euro. Ecco come articolare la proposta:
1. Prevedere un’aliquota alta, cioè il 2% e pertanto il plafond teorico dell’incasso per il fisco sarebbe di 180 miliardi di euro.
2. Prevedere una detrazione, fissata intorno al 38% dell’imposta media versata negli ultimi anni, sul reddito delle persone fisiche e delle società titolari del patrimonio da tassare.
3. Coloro che nel tempo hanno versato imposte sul reddito o sulle società “compatibili” con il patrimonio accumulato, beneficeranno di una detrazione in modo tale da ridurre drasticamente, fino ad azzerare l’importo della tassa stessa.
4. Bisognerà prevedere aggiustamenti per le società di capitale e per casistiche specifiche, come per i pensionati che hanno subito una fisiologica riduzione del reddito.

Tale proposta costituisce una puntuale – quasi scolastica – applicazione dei due dettati costituzionali, secondo cui l’Italia è fondata sul lavoro, il che significa “sul lavoro e non sulla rendita” e che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Tenuto conto della massa dell’Ire pagata, il gettito totale di tale tassa si ridurrà, a seguito delle detrazioni previste, rispetto al plafond sopra indicato, cioè di 180 miliardi di euro, di almeno il 60%, ma la manovra risulterebbe comunque molto favorevole all’erario, in quanto il gettito finale ammonterebbe a circa 50 miliardi di Euro.

Tale tributo non dovrà essere previsto una tantum, ma in via ordinaria, per almeno due anni, con l’aliquota al 2% per poi ridurre l’aliquota allo 0,5%, in modo tale da risultare ampiamente sufficiente, non solo a corrispondere agli obiettivi di riduzione del fabbisogno indicati dalla Commissione Europea, ma potrebbe mettere a disposizione del Governo anche risorse per misure finalmente “vere” per il rilancio economico del Paese, cioè per la riduzione delle imposte indirette, delle accise, delle imposte a carico delle aziende e per detassare le tredicesime ed aumentare le pensioni al minimo.

Il problema vero di questa proposta che questo “Nongoverno” non riesce a comprendere è quello che Dirigenti e funzionari ministeriali chiamati a darle attuazione sarebbero con molta probabilità tra i destinatari della stessa. E così la giudicano una proposta bislacca o tecnicamente inattuabile

di Paolo Baronti

 

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