È bella la lettera aperta di Carlo Gabardini a Repubblica. È bella perché lancia un messaggio di speranza e di ottimismo a chi, gay o bisessuale, vive la propria condizione con sofferenza, disagio e dolore.
Ma è sbagliato, fortemente sbagliato, un passaggio: “Essere gay è bellissimo”. No, non lo è. Essere gay è normale, non bellissimo. Ed è questo il concetto che deve passare in un paese omofobo come l’Italia.

La divinizzazione a prescindere del gay in quanto tale è pericolosissima, esattamente come l’omofobia. Facendo credere a orde di ragazzini di essere speciali, membri di una minoranza illuminata sensibile, creativa e di buongusto, si fomenta l’illusione di una intoccabilità che non esiste. E quegli stessi ragazzini si troveranno poi ad affrontare la realtà, fatta di vittorie e fallimenti, a prescindere dall’orientamento sessuale.

Una parte della comunità Lgbt è già vittima di questo equivoco narcisistico, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La società è omofoba, e su questo siamo tutti d’accordo, ma dall’altro lato c’è un movimento gay incapace di normalizzarsi, di rivendicare solo la normalità della propria esistenza.

Ecco perché Gabardini, in una lettera che per il resto è un appassionato inno alla consapevolezza e all’accettazione di sé, sbaglia in quel singolo passaggio. Esistono già troppi gay, soprattutto (e guarda caso) quelli che possono vivere la propria sessualità come meglio credono per prestigio sociale o condizione economica privilegiata, che propagandano la superiorità dell’omosessuale. Per le nuove generazioni, quelle alle prese col bulletto che ti dà del “frocio” o con famiglie incapaci di capire, auspico un approccio diverso. L’invincibile, quella sì, portata rivoluzionaria della normalità.

La Repubblica tradita

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