Parte alla ricerca di sé e finisce al Cairo. “In Italia ti fanno dimenticare che esisti, troppo spesso fai strada se ti ingrazi un professore, mentre se ti impegni e hai talento ma non un lavoro la colpa è solo tua”. Valeria Dessì, 31 anni, sarda, da poco più di un anno vive a dieci minuti a piedi da piazza Tahrir, simbolo delle proteste contro il regime di Mubarak, ieri, e oggi contro quello di Morsi. “Voglio abbattere il pregiudizio che i media hanno sulla primavera araba: non è vero che c’è stato un risveglio perché non c’è mai stato un sonno prima. L’Egitto era già dinamico, siamo noi che non ce ne accorgevamo”. Per dimostrarlo Valeria ha scelto di fare qui la ricerca sul campo prevista dal dottorato iniziato due anni fa alla Soas (School of oriental and african studies) di Londra. Sotto la sua lente di ingrandimento: le forme di attivismo femminili in favore dei diritti e il cambiamento di strategia che hanno avuto dopo il 2011.

“Forse è il Cairo che ha scelto me e non il contrario”, dice. Quindi è stato amore a prima vista: “Cercherò di starci il più possibile e di ritornarci una volta che avrò concluso gli studi in Inghilterra”. Valeria non sente nostalgia. “Non penso mai a quello che mi può mancare, sennò partirei col piede sbagliato. Voglio vivere con quello che trovo qui”. La scommessa è imparare a guardare quello che ci sta intorno. Come? “Dipende da noi e da quanto siamo bravi a fare i conti con i nostri limiti”. Lei lo prova sulla sua pelle da anni, gli stessi da quando è partita per inseguire i suoi sogni. Un viaggio che continua anche adesso. Dopo la maturità classica e un diploma in Conservatorio, abbandona l’isola natale. E salpa per un nuovo lido, Milano, dove nel 2008 si laurea in Filosofia all’Università San Raffaele con una tesi in antropologia. Segue uno stage all’Ansa, un altro stage alla Naba (Nuova accademia di belle arti), ufficio di relazioni internazionali. Time over.

Nella testa di Valeria i le idee si rincorrono, ma non trovano uno spazio. Le piacerebbe insegnare, ma non ci sono concorsi. La carriera all’università è un percorso a ostacoli che premia i raccomandati. Tornare in Sardegna vorrebbe dire stare con le mani in mano. E allora è il momento giusto per dire addio all’Italia. In tasca ha un biglietto di sola andata per Londra. Frequenta un corso di inglese per diventare madrelingua. Nel frattempo si mantiene con un lavoretto da commessa in una dolceria. Passa un anno. Ora è pronta per iscriversi a un master in Gender studies alla London school of economics. Un altro anno se ne va ma non il suo entusiasmo per la ricerca: catturare le sfumature della realtà, oltre ogni apparenza, diventa una ragione di vita che la porta in un posto lontano, fino al Cairo, ma sempre più vicino a se stessa. “Non sono mai partita per fare soldi, ma perché credo nei miei interessi anche quando la realtà sembra opporsi”, ribadisce Valeria. Quindi supera la selezione per un Phd alla School of oriental and african studies. Sempre a Londra, sempre negli studi di genere. Il resto è scritto sopra.

“Quello che ha fatto la rivoluzione in Egitto è il passaparola, non il telefonino, né Twitter. Uno diceva ‘Io sto andando’ e l’altro ‘Ti seguo’”. Poi campagne di sensibilizzazione con volantini e raccolta firme, tante iniziative partite dal basso. Anche in occasione delle recenti rivolte. Qual è la tua giornata tipo? “Sveglia alle sette, poi rassegna di giornali e blog online, prendo nota di quello che dicono le attiviste, anche su Facebook, e cerco di sentirle e incontrale quasi ogni giorno per interviste o aggiornamenti vari”. A tutela delle donne sono attivi servizi di pronto intervento durante le manifestazioni, numeri di soccorso, sostegno per chi vuole fare politica, blog, iniziative legate all’arte e allo sport (anche per i bambini). I movimenti rosa in Egitto vantano una storia centenaria. In pochi purtroppo lo sanno”.

Lei, in fondo, è lì per portarlo alla luce. Lungo il Nilo, nella culla più antica dell’umanità, Valeria ha imparato due cose: a rispondere con un no secco o un sì deciso. “Come loro. Se ti mostri incerta fai capire che non hai uno spazio e chiunque potrebbe rubartelo”. E poi i tempi dilatati: “Si caricano di mille impegni, vogliono essere disponibili per tutti e per questo spesso sono in ritardo agli appuntamenti. Ma ho imparato molto dalla loro ironia, formidabile”. A cosa non ti sei ancora abituata? “A certe domande troppo personali, tipo ‘Sei sposata? Hai dei figli?’, rivolte da venditori ambulanti come da tassisti”. Oggi e domani c’è il Cairo nel suo cuore. “Non ho più paura che stare altrove – confessa -. Ci sono i carri armati lungo le vie del centro. La cosa sorprendente è che la vita va avanti. Il Cairo è adrenalina. La gente è viva a qualsiasi ora della notte e del giorno. I caffè nelle strade sono pieni di persone che discutono”. Anche se ad agosto è stato diverso. “Gli scontri erano in zone precise della città, il coprifuoco scattava alle sette della sera fino alle sei del mattino, il dolore era scolpito sui volti e c’era una sfilza di funerali. Io non sapevo se avere più paura per quello che sentivo e vedevo in tv e in rete che per quello che effettivamente accadeva”. Al Cairo c’è traffico, tanto. C’è caos, i mezzi sono pochi e affollatissimi. Devi muoverti a piedi o in taxi. E le distanze sono ciclopiche. Per Valeria però ne è valsa la pena. E non farebbe cambio con nessun’altra città al mondo.

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