Tra i tanti guai, in Italia è in corso una deriva semantica. I termini destra e sinistra sono stati svuotati di significato a partire dai tempi di Craxi. Gli epigoni berlusconiani inaugurarono la specie dei socialisti di destra, stabilendo un poco invidiabile primato mondiale. Brunetta allora si spertica, per modo di dire, rivendicando di essere, con i suoi compagni di partito, i veri eredi del centro-sinistra, alludendo al vecchio pentapartito. Resta il fatto che tra le fila del (ormai defunto, non compianto) Pdl milita gente come la Mussolini che, se non altro per il cognome, dovrebbe essere inconfutabilmente collocata a destra. In occasione dell’ultima elezione del Presidente della Repubblica, la focosa deputata si è messa a capo di iniziative eclatanti contro la candidatura di Prodi, ex democristiano non certo rivoluzionario. Gli stessi berlusconiani hanno poi accolto con ovazione la rielezione di Napolitano, comunista della primissima ora. Chi è destra? chi è sinistra?

Altro termine abusato è “riformista”: una volta era una delle peggiori offese che il comunista duro e puro rivolgeva a chi si mostrava troppo timido di fronte alla rivoluzione imminente. Poi tutti sono diventati riformisti, termine preso in prestito, ad alimentare la confusione, da un giornale di sinistra con editore e linea di destra. Il punto è: riformare sì, certo, ci mancherebbe, ma in che direzione? E lì ci vengono in soccorso altri due termini classici: progressisti e conservatori. Ma chi si oppone alle riforme della scuola proposte dagli ultimi governi vuole solo “conservare” lo status quo? Salendo di livello: è conservatore chi difende l’attuale Costituzione? Inevitabilmente si finisce nei punti di vista soggettivi: io credo che sia progressista chi si propone di attuare la nostra Carta nei suoi aspetti più lungimiranti e aperti, apporre modifiche e miglioramenti laddove necessario e opporsi ai tentativi di stravolgimento di chi vuole intaccarne i principi socialmente più avanzati (vedi art 41). Difendendola dunque dagli attacchi conservatori o, più propriamente, reazionari, di chi vuole azzerare decenni di conquiste politiche, civili, sociali, culturali.

Ma tutte queste sono parole eccessive, inutili a descrivere l’attuale situazione italiana. C’è chi, molto più semplicemente parla di “casta”. Zagrebelsky, più forbito, di oligarchie. Difficile spiegare meglio un mondo politico (e di conseguenza mediatico, nella nostra situazione bloccata e malata) perfettamente autoreferenziale. Marrazzo che torna in tv o Giannino in radio sono emblematici di una classe che si autoalimenta. Chi sta dentro, chi fa parte delle conventicole, può riemergere anche da situazioni che, in qualunque altro settore, lo darebbero per spacciato. Complice il sistema elettorale, abbiamo una serie di protagonisti della vita pubblica che probabilmente nessun elettore vorrebbe scegliere. Casini o Formigoni, non si sa a rappresentanza di chi, dettano linee politiche. La Finocchiaro, ripetutamente bocciata dai suoi elettori, sembra predestinata a ruoli di grandissimo rilievo. La Bindi all’Antimafia. I dirigenti del Pd, sempre gli stessi, constatata la propria impresentabilità, si affidano a uno sconosciuto per arginare quello che vivono come un cancro intestino, ma è l’unico ad essere popolare. In Parlamento siede ancora gente come Rutelli. La Polverini è di nuovo in sella. In ordine sparso, Buttiglione, Razzi, Scilipoti. Le percentuali che le larghe intese hanno in Parlamento non hanno alcun corrispettivo nel Paese. In prove attoriali di grandissimo spessore, tutti fingono di non sapere che chi aveva votato Berlusconi era contro la sinistra; chi votava a sinistra era contro Berlusconi.

Tutti questi concetti, la confusione tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, l’assoluta imperturbabilità di fronte ai dati della realtà, l’inossidabilità di ceto, le indiscusse capacità recitative trovano una miracolosa incarnazione in un solo volto: Capezzone. È qui che il colmo della contraddizione tra paese reale e palazzo trova il suo apice: da radicale consumato, può star bene con qualunque forza politica dentro il Parlamento, pur godendo dell’unanimità dei dissensi tra la gente comune. Vien da sospettare che Berlusconi, che avrebbe ben altre personcine più gradevoli da piazzare come portavoce, ce lo spiattella a dispetto per suscitare i 5 minuti di incazzatura collettiva di orwelliana memoria. L’innata capacità di difendere, con convinzione invidiabile, qualunque posizione, benché antitetica. Una faccia da schiaffi, si direbbe: e quando qualcuno passò dalle parole ai fatti, prendendolo a pugni sotto palazzo Grazioli, si consumò l’ennesimo scollamento tra politica e società. Tutti i partiti si lanciarono in attestazioni di solidarietà, parole dure (e giustissime) contro ogni forma di violenza. Neanche uno che, seppur con giri di parole che in politichese criptico volessero accennare a un vago: “se l’è un po’ cercata”. Intanto nel web un effluvio di adesioni, nessuno escluso, da destra sinistra e centro; individui normalmente moderati, pacifici, nonviolenti, pronti a assumersi la paternità dell’atto, con conseguente responsabilità penale. P

er quel che mi è capitato di sperimentare, chiedendo spiegazioni, anche i più accaniti dei berlusconiani di fronte al solo nominare del loro portavoce, allargano le braccia con un sorriso. Voglio però chiudere con un appello: mi si trovi un elettore di destra disposto a difenderlo, definendolo un bravo ragazzo, molto preparato, e io prometto di non nominarlo mai più.

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