Già dal mattino appariva chiaro a tutti che i Repubblicani si erano infilati in un vicolo cieco dal quale ormai potevano uscire solo con una resa pressoché totale. Infatti subito dopo la notizia che il Senato aveva approvato, con una maggioranza di 81 a 18, un accordo tra i due partiti per alzare il tetto al debito quanto basta per coprire gli impegni di cassa fino a metà gennaio e gli impegni sul debito fino al 7 febbraio, la partita era sostanzialmente chiusa. Perché anche se i colleghi repubblicani della Camera dei Rappresentanti sono sempre stati i più recalcitranti all’idea di spostare più in alto l’asticella del debito, la responsabilità di portare l’intero paese al default sul debito nazionale, dopo aver già costretto il governo a chiudere la cassa per 16 giorni, non trovava più adeguato numero di sostenitori in quanto quello sarebbe stato uno strappo troppo forte per chiunque.

Gli stessi votanti del partito repubblicano, a parte le esagitate tifoserie dei Tea Parties, ben rappresentate al Congresso ma insufficienti a dettare le regole su tutti gli altri, non riuscivano a vedere nelle motivazioni fornite a sostegno della disputa, elementi sufficienti a giustificare il cataclisma che il default avrebbe certamente provocato. Negli ultimissimi minuti prima della mezzanotte, la Camera dei Rappresentanti adottava in pieno la risoluzione già approvata dal Senato, e con una maggioranza a favore di 285 voti contro 144 chiudeva finalmente la lunga e combattutissima disputa politica. Poco dopo anche il presidente Obama, firmando la legge, chiudeva questo brutto capitolo della storia politica americana e dava il via libera alla nuova legge che consentirà al Tesoro Usa di onorare i propri impegni finanziari.

Negli ultimi giorni prima della data limite, il confronto politico aveva invaso tutte le prime colonne dei giornali e dei notiziari televisivi, con continui dibattiti tra politici, politologi e giornalisti specializzati. Tra questi sicuramente occorre rimarcare le interviste concesse da Warren Buffet, il numero uno degli investitori americani e da anni sempre tra  i primi cinque nella classifica degli uomini più ricchi del mondo, che ha condannato senza esitazione il ricatto posto dai repubblicani sul tetto al debito come stupido, dannoso, e inutile. Stupido perché non ha senso mettere un limite al tetto del debito, anzi, lui sostiene che dovrebbe essere cancellata quella anacronistica legge. Dannoso, perché, anche senza essere arrivati al disastro dell’insolvenza, si sono comunque prodotti danni all’economia calcolati in circa 20 miliardi di dollari. Inutile perché, come era facile prevedere fin dall’inizio, la strategia di usare il tetto al debito per costringere il partito democratico e il presidente Obama a fare marcia indietro nell’avvio della riforma sanitaria (soprannominata “Obamacare”) che entra a regime in gennaio, era chiaramente una strategia perdente.

Ora per i repubblicani lo è persino due volte, perché oltre a non essere riusciti nel loro intento di bloccare la riforma di Obama hanno anche regalato ai democratici una sonante vittoria politica che potrebbe persino risultare determinante per le prossime elezioni di medio-termine del novembre 2014, la cui campagna politica è già sulla linea di partenza. A gennaio lo scontro per il tetto al debito e per il budget si riaprirà di nuovo, ma appare poco probabile che i repubblicani vogliano di nuovo farsi male da soli su una battaglia politica (non finanziaria!) che persino i più grandi capitalisti hanno definito stupida e inutile.

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