C’è una bella chiave per entrare a lavorare nel non profit (retribuiti – non a fare  volontariato): quella del ‘progetto’ (dal Latino ‘Pro-jectare’, ‘gettare avanti’). “Progettare  è un modo qualificato e intelligente per cambiare il mondo, per produrre i  cambiamenti sperati in un  ‘sistema’, sia esso una comunità, un settore  o un gruppo qualsiasi di destinatari;  è il modo  mediante cui l’organizzazione non profit può realizzare la propria missione e visione sociale”.

Il  ‘progetto’ nel non profit  va inteso quindi come una leva di cambiamento sociale, un’attività non routinaria mirata ad avere effetti di ‘impatto sociale’, possibilmente a medio lungo termine,  su comunità, persone, ambiente. E il progetto  sarà sempre più anche una leva di sviluppo e ‘chiave’ di  inserimento professionale individuale o di gruppo,  per chi desidera entrare nel settore.

In molti commenti agli ultimi miei due post sul  lavoro nel non profit per 40enni e 50enni, emerge un atteggiamento un po’ passivo, e tutto sommato noioso, centrato  sul cercare,  trovare lavoro presso, dipendenti da… e la relativa difficoltà riscontrata da molti. E’ noto che le non profit non rispondono di solito a chi invia i curricula – ricevendone centinaia di migliaia l’anno – e deludendo moltissime aspettative.

Ragazzi (20-50 anni),  un  po’ di fantasia!  Perché, più che di una richiesta, cacciatori di vacancy,  non immaginarsi portatori sani di un’offerta, di una proposta, di un progetto di qualità? Il presidente di uno dei più grandi consorzi di cooperative sociali italiane tempo fa mi disse: ‘Ci sono persone che al colloquio vengono solo a chiedere lavoro… noi invece cerchiamo quelle che vengono ad offirire’ sogni, competenze, progetti.

Facciamo un esempio pratico: recentemente con alcuni studenti abbiamo inventato un progetto chiamato ‘Tessiamo il futuro’. L’idea grezza era  quella di creare una attività qualificata legata al tessile per donne soggette a tratta, ex prostitute in riabilitazione, al sud. Grazie ad un bando di una importante Fondazione italiana (per un importo fino a 200.000 euro) teso alla valorizzazione di ‘beni invisibili’ abbiamo avuto l’idea di recuperare la tradizione della lavorazione della seta nel cosentino in Calabria (chi la conosceva?), creando bigiotteria in seta e altri articoli di alta qualità a basso costo di approvvigionamento e  produzione.

Abbiamo coinvolto la Regione Calabria, il Museo della seta di Mendicino (chi ne conosceva l’esistenza?), partners sociali di inserimento lavorativo (comunità di accoglienza), e concordato che a presentarlo fosse una cooperativa sociale  (Coop. Primo Sole ) che lavora sul tessile supportata pro-bono da artisti e designer, inserendo soggetti svantaggiati, in particolare psichiatrici e donne.

Il progetto è stato portato avanti e presentato da alcuni studenti tra cui una ingegnere che lavora da molti anni nel for profit e sta cercando di ricollocarsi in ambito progettazione sfruttando al meglio il poco tempo che ha, una quarantenne già informatrice farmaceutica specializzata sul fundraising, una giovane  neolaureata calabrese specializzata in progettazione sociale innovativa, con il supporto di una struttura di incubazione e accelerazione. Nel progetto troveranno una buona base lavorativa tutte e tre, essendosi  inserite anche lavorativamente  al suo interno.

Per fare un  buon progetto sono necessarie:

  • Informazioni sui bandi in uscita (locali, nazionali, europei)
  • capacità progettuale (ad es. utilizzo di strumenti quali il logical framework o il Canvas)
  • capacità di fundraising per avviare o sostenere il progetto anche senza fondi ‘finanziati’
  • partners (nell’esempio il Museo, la Comunità di accoglienza, la Regione Calabria. una Associaione di Tessitori, Maestri artigiani)
  • un ‘proponente’ (es. una cooperativa sociale o una associazione o una Ong)
  • una rete di competenze e supporto
Un progettista professionista ha una percentuale di approvazione tra il 30 e il 50 per cento (su 10 progetti che presenta in un anno, ne passano 3-5). Un buon progetto deve essere:

sostenibile’ (dal punto di vista economico finanziario)

‘scalabile’ (può crescere di dimensioni)

replicabile’ (in altri contesti  geografici o per altre categorie di beneficiari)

 ‘innovativo’ (per un territorio o per una categoria di beneficiari)

e soprattutto ‘di impatto sociale’ (deve essere una leva di cambiamento della vita delle persone o del territorio a cui si riferisce).

Un buon progetto deve anche unire anima e conoscenza della materia, a tecnica progettuale. Chiunque abbia buone metodologia di progettazione e project financing e sappia creare dei partenariati di valore, può essere in grado di sviluppare un proprio progetto, e presentarlo con ottime speranze su più fonti di erogazione – donatori. Il progetto può essere  una bellissima  chiave di accesso, per voi – dal punto di vista professionale – e per chi ne beneficia (se ben costruito). Pro-gettatevi!

Invito i lettori interessati (20enni, 30enni, 40enni e 50enni- no 80enni  pregiudicati – all’ormai tradizionale  incontro di approfondimento a Roma, ‘Lavorare nel non profit e nella social Innovation: professioni, percorsi e fondi  per accedere’, Giovedì 31 ottobre, Roma, Via Aniene 26 A,  presso Sede Agire-Network delle Ong Internazionali per lo Sviluppo. Per aver modo di confrontarsi con chi ce l’ha fatta e con gli operatori del settore. Prenotarsi a comunicazione@asvi.it  con oggetto ‘Lavorare nel non profit-post Il Fatto 3’ ed in copia a m.crescenzi@asvi.it. Ps. Vi invito anche a visitare blog4change sui temi della cooperazione internazionale. 

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