Trasmissione storica quella di Report di ieri sera che prometteva di smascherare con l’indipendenza di giudizio e il senso di responsabilità che dovrebbero caratterizzare la professione giornalistica, luoghi comuni, bufale e affermazioni indimostrate in materia di politica economica: quanto costerebbe l’uscita dall’euro, quanto ci costerà il fiscal compact, come si fa a far ripartire il Paese seguendo l’esempio dei più virtuosi, ecc.

Impresa non facile, le polemiche infatti non mancano, in un Paese con un livello di irrazionalità da far paura, che abbocca a tutte le tesi complottiste che cattivi maestri, per ignoranza o mala fede, propinano non solo in rete, ma anche nelle trasmissioni di approfondimento in cerca di audience.

Senza voler ripetere i contenuti della trasmissione su cui sono sostanzialmente d’accordo, c’è un aspetto della ricostruzione della recente storia economica della Germania che mi è risultato illuminante. Circa quindici anni fa la Germania versava in una grave crisi economica dalla quale è uscita preferendo dei sacrifici subito sul piano della piena occupazione e della produttività che uniti al bonus dell’entrata nell’euro le hanno consentito la crescita economica di cui gode oggi.

Ecco, questo mi è sembrato il vero spread tra Italia e Germania: il popolo tedesco, in un momento di crisi, ha scelto di fare il sacrificio subito, non di rinviarlo fidando nella buona stella o nei cattivi maestri mentre quello italiano preferisce ancora credere alle soluzioni miracolose (uscita dall’euro), alle fantasie indimostrate (complotto pluto-giudaico-massonico) pur di non guardare in faccia la realtà e accettare l’idea che “la festa è finita”: tante conquiste in materia di lavoro e nel campo del welfare sono oggi insostenibili economicamente e senza sostenibilità economica è vano parlare di diritti irrinunciabili alla Landini.

Percepire generose pensioni a fronte di una modesta contribuzione (non sono quelle d’oro, ma anche quelle a favore di particolari categorie beneficiate per i ritorni elettorali da “regali acquisiti”, più che da veri diritti), accettare un livello di produttività o di costo del lavoro poco competitivi, disincentivare le attività produttive con una pressione fiscale ottusa e una burocrazia da par suo non possono portare da nessuna parte. Non ci sono pasti gratis: bisogna puntare sulla qualità dell’istruzione di base, sulla ricerca e l’innovazione, sui punti di forza del made in Italy (tra cui in anche agricoltura e turismo) e soprattutto sull’impresa, mettendo a dieta stretta uno Stato elefantiaco e tutte le posizioni parassitarie che si sono consolidate in questi decenni.

Perché una cosa è certa: non siamo in presenza di una classe politica di malvagi che vessano una base elettorale di brave persone. Senza un coinvolgimento generale di tutte le categorie sociali nella spartizione delle risorse pubbliche e del bonus dell’euro non ci saremmo mai ridotti in questo stato. A questa grave crisi bisogna saper rispondere da cittadini adulti e responsabili fidando sulle proprie capacità e diffidando dalle soluzioni miracolistiche o dalla caccia alle streghe.

Articolo Precedente

Visti dagli Altri – Die Zeit e la ricerca della prosperità

next
Articolo Successivo

Cooperazione, i guasti delle politiche finanziarie incerte

next