È stato Paolo Guzzanti, già molti mesi fa, a chiedere per primo, rudemente, dov’era Giorgio Napolitano quando il suo partito chiedeva l’impeachment per il presidente Francesco Cossiga. “Gli dettero del golpista e poco (molto poco) mancava che gli dessero dello stragista, eppure non stravolse mai la Costituzione”, scriveva Guzzanti sul Giornale. Eppure “non nominò primo ministro alcun professore dopo averlo battezzato in fretta e furia senatore a vita”. Non battezzò neppure commissioni di saggi per riscrivere la Costituzione, non impose un paio di governi scegliendo formula politica e presidente del Consiglio, non lanciò proclami al Paese chiedendo amnistia e indulto. Fino all’attuale richiesta d’impeachment da parte del Movimento 5 stelle.

Cossiga fece, è vero, altre cose: “Mandò i carabinieri al Consiglio superiore della magistratura”, ricorda Guzzanti, guerreggiò con i magistrati, irrise i “giudici ragazzini”, difese a spada tratta l’organizzazione segreta anticomunista Gladio. Il partito di Napolitano (l’ex Pci diventato Pds) nel dicembre 1991 presentò in Parlamento una richiesta di messa in stato d’accusa per il presidente della Repubblica. “Dove si trovava e che cosa faceva Giorgio Napolitano”, si chiedeva Guzzanti, “quando fu aggredito Cossiga?”. Napolitano, allora dirigente del partito, ministro del governo-ombra e leader della corrente “migliorista” filo-Psi, attaccò il Cossiga “picconatore”. “È un problema oggettivo”, dichiara Napolitano il 22 marzo 1991. “È di interesse generale un chiarimento sulle dichiarazioni di Cossiga, al quale rivolgiamo l’appello di ritornare sul trono”. Ribadisce due giorni dopo: “Si è creata una situazione estremamente delicata e preoccupante sul piano istituzionale”. Ha creato “sconcerto e inquietudine per le sue dichiarazioni e le sue sempre più concitate reazioni”.

Nel maggio 1991 Napolitano differenzia la sua posizione da quella ufficiale del partito, che presenta quattro interpellanze alla Camera contro il presidente della Repubblica. “Ma la mia non è una dissociazione”, spiega. “Esercitiamo però una libertà di critica che discende dal principio della responsabilità politica ‘diffusa’ del presidente della Repubblica”. Ai giornalisti che gli ricordano che proprio la sua corrente si era opposta alla rielezione di Sandro Pertini, portando il Pci a sostenere Cossiga, Napolitano risponde: “Allora Cossiga era presidente del Senato e aveva assolto in modo assai corretto alla sua alta funzione. Si era rivelato una persona aperta al rapporto con tutte le forze democratiche e quindi capace di rappresentare tutto il Paese”.

Dovrà ricredersi rapidamente. Negli ultimi mesi del 1991 il Pds di Achille Occhetto va verso la richiesta d’impeachment, deciso a maggioranza il 25 novembre. Napolitano e i suoi (Emanuele Macaluso, Gianni Pellicani e Umberto Ranieri) si differenziano chiedendone le dimissioni. “L’esigenza di porre un limite ai comportamenti inammissibili del presidente Cossiga – scrivono i miglioristi in un comunicato – ci ha visto uniti. Non abbiamo concordato nel ritenere che l’avvio della messa in stato d’accusa del capo dello Stato risulti la risposta valida”. È però “inevitabile che Francesco Cossiga tragga le conseguenze dalla scelta da lui già compiuta di assumere un ruolo politico incompatibile con la funzione di presidente della Repubblica”. Per tutta risposta, Cossiga il 29 novembre chiama Napolitano e i suoi “vegetariani”: “Quelli che chiedono le mie dimissioni sono vegetariani, perché non sono né carne, né pesce”. Nelle settimane seguenti, il partito va allo scontro diretto con Cossiga. “Il presidente della Repubblica è fuori della Costituzione”, dichiara Occhetto il 3 dicembre. Il leader migliorista continua a differenziare la sua posizione. Il 24 gennaio 1992, dichiara: “Tre sono le vie che possono essere percorse: quella dell’impeachment avanzata dal Pds è una; ma un’altra via è quella di sollecitare le dimissioni; la terza è infine quella che si astenga strettamente da interventi impropri”. In ogni caso, “siamo di fronte a una situazione di estrema gravità che si è ulteriormente deteriorata”.

Il braccio di ferro termina nella primavera del ‘92. Il Comitato parlamentare boccia a maggioranza l’impeachement e il Tribunale dei ministri archivia le accuse. Ma intanto Cossiga si dimette da capo dello Stato: il 28 aprile 1992, due mesi prima che scada il suo mandato. Mani pulite ha già cominciano a cambiare i connotati della prima Repubblica.

il Fatto Quotidiano, 15 Ottobre 2013

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