Al di là dei trofei, al netto delle celebrazioni e delle nomination a premi Nobel, è un Roberto Vecchioni disincantato ma dall’animo forte e combattivo quello che presenta il nuovo disco di inediti intitolato Io non appartengo più, uscito per la Universal, a distanza di sei anni dall’ultimo Di rabbia e di stelle. Più di un lustro in cui il Professore è stato costretto ai box, frenato da una brutta malattia, come racconta nel brano Ho conosciuto il dolore. Parole cantate in maniera energica, con le quali colpisce e manda al tappeto la sua malattia. “Scriverci su un brano mi sembrava il minimo. Dopo che ho avuto un tumore al rene e un infarto gliele ho cantate davvero, sono un uomo, son più forte di tutto: ‘Ma a chi vuoi far paura?, Tu non vali un cazzo di niente’”.

E l’immagine che lo ritrae in copertina è la sintesi perfetta del momento che vive: “Ho scelto il ring come simbolo per non far dimenticare a nessuno che io sono sempre stato su un ring a combattere. Certo, non ci sono lottatori qui, ci sono libri, quadri, oggetti di valore eterno. E ci sono io, in poltrona, in un momento di riflessione perché non ho riferimenti: e quindi io non appartengo più. Non appartengo più a ciò che mi infastidisce, che mi fa star male, che mi urta i nervi”.

Nel disco parla poco della “politichetta italiana” perché “non ne voglio più parlare”. Ma mostra un certo ottimismo, soprattutto  nei confronti delle donne e nel loro impegno: “Il brano ‘Le mie donne’ è dedicato a Franca Rame, un esempio. Trovo che l’impegno delle donne per la cosa pubblica sia molto più serio di quello degli uomini. Uniscono sentimento e passione in maniera molto più coerente dei maschi che si lasciano andare spesso al ragionamento, perdendo di vista la sensibilità. Invece le donne, le grandi donne e le piccole grandi donne possono fare molto per il mondo. Era giusto farne una celebrazione. Franca, che amava una mia canzone Le mie ragazze, mi chiese di scriverle una canzone su questo tema. Purtroppo non sono riuscito a fargliela ascoltare. È dedicata a lei e alla frase che mi disse un giorno quando le parlai dei miei problemi col Divino: ‘Roberto non ti preoccupare, Dio c’è ed è comunista”. Lo spera. O almeno che sia di sinistra…

Certo, di tempo per riflettere sul presente ne ha avuto. Durante questi lunghi sei anni ha pensato e ripensato, arrivando alla conclusione che “forse il suffragio universale non è poi così benefico come ci han raccontato e che potrebbe apparire esagerato, ma servirebbe una sorta di patente per poter votare, anche per responsabilizzarci. Bisogna conoscere la storia, conoscere le leggi, sapere con chi si ha a che fare. Solo così si può esser coscienti dell’atto che si sta per compiere nel momento in cui si è chiamati alle urne”. Il tutto in direzione di una cittadinanza attiva. Del resto, è il periodo che ce lo impone. Poi lancia un’invettiva contro i social network: “Viviamo come se in democrazia fosse permesso tutto – prosegue il cantautore – . In Italia non esiste più la democrazia, ormai siamo nella demotrofia e alla demomania, ognuno può esprimere esageratamente ciò che pensa”.

Nel disco, anche se non è la prima volta, affronta anche un tema difficile e delicato come quello dei diritti degli omosessuali e delle adozioni: “Il brano ‘Due madri’ è molto personale, dedicato alle sue nipotine, Nina e Cloe che la figlia ha avuto insieme alla compagna grazie alla fecondazione artificiale in Olanda. Canto del diritto di amarsi per tutti. Fa parte del futuro, della vita. La mentalità italiana, da questo punto di vista, rimane piccola”. 
Un album da cui trarre molteplici insegnamenti, il cui ascolto può anche non piacere, ma non è importante per “quelli belli come noi che non cambieranno mai, con il fegato di Pinot, l’attesa di Godot e il cuore di Pierrot”.

 

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