Il gruppo ungherese Mol nel 2007 aveva investito oltre 800 milioni di euro per rilevare la raffineria Ies di Mantova. Ora, dopo sei anni, i vertici del colosso magiaro dell’energia e della chimica hanno deciso di dire basta. Da gennaio 2014 la raffineria verrà lentamente trasformata in un polo logistico, ossia un deposito, per far funzionare il quale basteranno 30-40 persone a fronte delle attuali 390 impiegate nella lavorazione del greggio proveniente da Marghera. Ciò significa che per 350 dipendenti si aprono prospettive drammatiche. I fantasmi della cassa integrazione e della mobilità aleggiano sopra i camini della raffineria di Strada Cipata. Un ennesimo colpo all’economia mantovana, dopo la chiusura nel febbraio scorso della Cartiera Burgo, con 188 operai in cassa integrazione. “Non renderemo la vita facile alla proprietà – spiega Massimo Marchini, segretario provinciale della Cgil, reduce da un vertice improduttivo al ministero dello Sviluppo economico con i dirigenti di Mol – perché non possiamo accettare che una bomba sociale del genere, dalle conseguenze devastanti, si abbatta sull’economia della nostra provincia. Un’economia allo stremo, se si considera che dal 2008 abbiamo perso 12mila posti di lavoro e attualmente abbiamo 4500 lavoratori in cassa integrazione. A tutti gli effetti, l’anticamera della mobilità e del licenziamento, visto che di lavoro non ce n’è”.

Sabato 12 ottobre c’è stato un corteo degli operai per le vie della città, per protestare contro la decisione del gruppo ungherese e nei prossimi mesi sono in calendario scioperi e azioni di mobilitazione. “Da tempo si parla della crisi del settore petrolifero – prosegue Marchini – e anche la Ies non se la passava bene. Ma nei diversi colloqui avuti con la proprietà siamo sempre stati rassicurati sul fatto che la loro intenzione era di investire sulla raffineria di Mantova. E, nero su bianco, abbiamo visto investimenti di milioni di euro in questi anni per migliorare gli impianti, la sicurezza e il rispetto dell’ambiente”.

Sembrava che il problema principale, per l’attività della Ies, fosse l’accordo con Eni per l’utilizzo della banchina di Porto Marghera, dove si caricano materie prime e si trasportano attraverso pipe-line alla raffineria di Mantova per la lavorazione. I sindacati hanno lavorato perché questo accordo fosse rinnovato e poco prima dell’annuncio della trasformazione della raffineria in deposito si è venuti a sapere, da un comunicato della Mol, che l’intesa con Eni era stata siglata. Ma da Marghera non patiranno più materie da lavorare, bensì prodotto finito. Per cui della raffineria non c’è più bisogno. “Non vorremmo – dice il segretario provinciale della Camera del Lavoro – che Eni e Mol avessero raggiunto accordi vantaggiosi per entrambi sacrificando oltre 300 posti di lavoro. Ai quali si devono aggiungere altri 400 lavoratori dell’indotto, dagli autotrasportatori ai manutentori, che lavorano esclusivamente per la raffineria”.

Oltre alla questione occupazionale c’è anche quella delle bonifiche. Sotto i macchinari della Ies galleggiano tonnellate di surnatante, una miscela catramosa di idrocarburi che, stando ai primi dati della campagna di monitoraggio Arpa starebbe allargandosi. Il rischio è che vada a tuffarsi nel fiume Mincio provocando un disastro ambientale. Ies, per ordine della Provincia e del Tar, deve bonificare e pagare prima che questo avvenga. E il timore dei cittadini è che, andandosene, non lo faccia. “Il nostro primo obiettivo – prosegue Marchini – è convincere Mol a ritornare sui propri passi. Un ridimensionamento dell’attività ci può stare, ma la cessazione della produzione è inaccettabile. Considerando poi che il gruppo è forte (nonostante a Mantova in sei anni abbia accumulato perdite per 120 milioni di euro, ndr) e non in crisi, con attività virtuose in diversi settori, che spaziano dalla chimica alla produzione di energia. Se Mol non ci ripensasse, allora la lotta si farà dura e in campo dovrà scendere l’intera città con in testa le istituzioni, che dovranno obbligare, con tutti i mezzi a loro disposizione, gli ungheresi a bonificare e a farlo in fretta investendo milioni di euro. Facendosi garantire, nel contempo, che per i lavori di bonifica e smantellamento degli impianti utilizzeranno ditte e lavoratori della provincia di Mantova. In modo da compensare, in parte, il danno occupazionale creato”.

Se alla Ies la bomba della disoccupazione sta per esplodere, alla Cartiera Burgo, poco distante da dove si trova la raffineria, questa è già esplosa. Sono 188 gli operai in cassa integrazione, che entro l’anno sapranno se questa sarà rinnovata per un altro anno o si passerà alla mobilità. Da quando la fabbrica ha chiuso, nel febbraio scorso, alcuni operai presidiano la sala mensa e tengono viva l’attenzione con iniziative di vario genere. Arriviamo da loro di buon mattino e sono già in attività. “Stiamo raccogliendo firme – spiega Stefano Viviani, Rsu della fabbrica – per inviare una lettera la ministero dei beni culturali nella quale chiediamo che sulla Cartiera, opera di architettura industriale firmata da Pier Luigi Nervi, venga imposto il vincolo di tutela. In modo che l’opera venga considerata un monumento”. Ma non solo da ammirare: “La nostra intenzione – prosegue Viviani – è trasformare la fabbrica in un monumento vivo, che torni a produrre”. Al momento le prospettive sono poche. Il gruppo Burgo è in mano alle banche, che non investono ma intendono solo contenere i costi. L’unica speranza arriva dalla Proges di Treviso, che sarebbe interessata a rilevare la fabbrica per riconvertirla dalla produzione di carta per quotidiani (la crisi della cartiera è andata, non a a caso, di pari passo con il crollo di vendite dei giornali cartacei) a quella di cartoni da imballaggio. 

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