Cerco di svelare il segreto di Alice Munro. Rileggo lentamente e ascolto quello che le parole scritte fanno fiorire in me. Eppure non riesco a dare un’unica definizione al suo talento. Non sta solo nello scegliere le metafore giuste o le parole precise come freccette indirizzate nel cuore del quadrante che è la nostra vita. O nel riuscire a tratteggiare il personaggio con pochi precisi dettagli, anche quando è marginale. Per esempio, Billy Pope in Chi ti credi di essere?: “Billy Pope era un cugino di Flo che lavorava in macelleria. Una volta lavorava addirittura al mattatoio, in due camere con il pavimento di cemento che puzzavano eternamente di trippa, interiora e maiali vivi. Ciononostante doveva avere un’indole domestica; coltivava gerani dentro vecchie latte da tabacco, sui massicci davanzali in cemento. Adesso occupava il piccolo alloggio sopra il negozio di Flo e si era messo da parte i soldi per comprarsi una macchina”. Questo Bill me lo vedo davanti, con la camicia che stringe la pancia e un lieve odore di birra tra i baffi.

Non trovo le risposte; posso solo tenermi vicina a lei e assaporare fino in fondo il piacere della lettura. Nello stesso libro, non posso dimenticare la folla corsa di Rose attraverso il Canada per allontanarsi dalla delusione del mancato arrivo di Simon, con il quale avevano deciso, dopo una notte di amore e gioia, di coltivare insieme un orto. Le pagine dedicate all’attesa di lui nel fine settimana successivo al loro incontro appassionato saranno amate soprattutto dalle donne e risulteranno assai interessanti per il lettore maschile. Rose scappa in auto per non cedere alla voglia di cercarlo, per vincere l’amarezza di essere stata solo usata per una notte.

“Quindi proseguì. Muskoka; Lakehead, confine con il Manitoba. Di quando in quando si accostava al ciglio della strada e si riposava un’oretta. (…) Mangiava nei ristoranti lungo la strada. Prima di entrarci si pettinava, si truccava e assumeva un’aria distaccata, miope e sognante di certe donne quando pensano di essere osservate da un uomo. Sostenere che si aspettasse di incontrare Simon sarebbe eccessivo; diciamo che non se la sentiva di escludere l’ipotesi. In effetti la distanza indebolì la calamita. La distanza pura e semplice, anche se ripensandoci in seguito si rese conto che era indispensabile coprirla in macchina, autobus o bicicletta; non avrebbe sortito lo stesso effetto in aereo”. 

Il capitolo rotola via così come l’auto di Rose attraverso il Canada. Poi il colpo di scena finale; trascorsi diversi anni mentre lei è impegnata al lavoro, il lavoro che ha sempre sognato e al quale mai sarebbe giunta se non avesse fatto quella corsa pazza, casualmente scopre perché Simon quel sabato non andò da lei. Sono questi colpi di estro, di fantasia improvvisa come luci accecanti che me la fanno amare. Comunque, qualsiasi cosa racconti, anche la più banale, ci inchioda alla pagina.

Alice Munro, che all’età di 82 anni è ancora bellissima, è celebre soprattutto per i suoi racconti: ha scritto tredici raccolte di racconti brevi, (in un post ho scritto di uno dei suoi più belli, Le bambine restano in Il sogno di mia madre) ma sia Chi ti credi di essere? (che ha un’unica protagonista, Rose, colta dall’infanzia all’età adulta e che la Munro ha scritto 1978 e Enaudi ha ripubblicato nel 2012 nella splendida traduzione di quel genio di Susanna Basso) che La vista da Castle Rock, sono veri e propri romanzi. Capacissima, nonostante quel che ne dica lei, di tenere il passo serrato anche nella forma romanzesca.

L’altra domanda, banale ma impellente, è quanto ci sia della sua vita in queste pagine. Ma non è importante: Munro ha la capacità di trasformare eventi quotidiani banali in luminose scenografie, dando ai suoi personaggi un universo fluido in cui muoversi, rendendo tutto credibile, scioccante, inatteso. Il suo è un lavoro paziente in cui l’effetto finale non porta traccia della minuzia. Come quei cuscini a piccolo punto che da lontano danno un’armoniosa immagine, nel caso di Munro spesso cruda nella sua semplicità, e quando ci avviciniamo scopriamo che il tutto è composto da piccoli accurati passaggio di ago e filo. E’ un buon segno che ieri abbia vinto il Nobel per la letteratura. Spero che questo premio le tolga dalla testa il desiderio, che ha più volte espresso, di smettere di pubblicare.

(Comunque Einaudi pubblica l’anno prossimo la sua ultima opera, Dear Life del 2012 con il titolo Uscirne vivi e già solo l’attesa è per me motivo di speranza).    

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