“Mi vergogno a pensarlo. Figuriamoci a dirlo”. C’è da credere al dottor Z. Lo conosco da quindici anni. So che è una persona sincera. Quando poi si tormenta così i suoi bellissimi baffi bianchi, vuol proprio dire che è una cosa che lo fa star male. Non riesce a finire la frase. C’è un’emergenza ad Ematologia. Rimango nella saletta a guardarmi il dito indice appena bucato. 

Ho cominciato a donare il sangue per lo stesso motivo di tantissimi altri. Una mia amica ne aveva bisogno. Quando lei non ce l’ha fatta, la cosa più naturale per tenerla sempre accanto a me è stata quella di continuare a donare. “Il sangue lo doni o se ne hai bisogno tu o se ne ha bisogno un tuo caro”, riprende da dove aveva interrotto il dottor Z. “Ma lo sai che nel nord Europa a diciotto anni ti portano a donare ed è quest’azione a farti entrare nel mondo dei grandi? Senza contare che ti regalano libri, biglietti per concerti e discoteche, sconti per il cinema. Da noi che si fa? I tagli. Vieni con me, che tanto i valori sono a posto…”. 

Andiamo nella sala donatori. Ci sono solo due infermiere che saltano da un lettino all’altro. Tranquillizzano un nuovo donatore, scherzano con uno abituale. Cambiano canale alla tv. Preparano ago e sacca per quanti devono ancora donare. “Avrebbero bisogno dei pattini”, dico. “E oggi è una giornata tranquilla”, mi risponde il dottor Z.

“Capisci qual è il problema di questo Paese? Che si fanno le riforme senza conoscere le realtà. A fine anno chiederanno conto alla direzione dell’ospedale di una cosa sola: quanto si è speso. Fanno i tagli a caso (il dottor Z. usa un’altra parola, ndr). Oggi ci sono solo io, come dottore. E mi devo dividere tra la sala donazione e tutto il reparto di Ematologia. Ti rendi conto? Anche lo specializzando appena entrato non si azzarderebbe a tagliare su una cosa del genere. In un altro ospedale romano hanno speso migliaia di euro per le piante grasse dell’atrio. E’ quella la Sanità malata. Non questa. La Sanità non è un’attività in cui puoi fare utili. La salute non si può mettere a bilancio”.

Un paio di settimane fa è venuta fuori la storia che la riforma Fornero, così com’è, per un donatore che va in pensione comporterebbe l’obbligo di recuperare (continuando a lavorare) le giornate dedicate alla donazione del sangue. Si tratta solo di alcuni casi. E molto particolari. Ma in quei casi si può arrivare addirittura alla riduzione del 2 per cento dell’assegno pensionistico. La settimana in cui il Parlamento ha messo in scena la cialtronata del “non ti do la fiducia anzi si te la do che tanto abbiamo un sacco di tempo per fare i burloni”, doveva passare al Senato la modifica della legge che cancellava questa porcheria.

Non si è fatto apposta, dirà qualcuno. E ci mancherebbe. Ma questo dimostra ancora una volta, ce ne fosse stato bisogno, che ai donatori e alla donazione di sangue non pensa nessuno. “Ma certo che non ci pensi. Finché non ne hai bisogno” mi dice il dottor Z. accompagnandomi a fare colazione, dove mi aspetta una volontaria (“almeno lei non la paghiamo” dice con la sua voce da doppiatore il dottor Z.). “Non mi hai detto cosa ti vergogni di pensare”, chiedo sorseggiando il mio succo di frutta. “Che nonostante col sangue ci salviamo tantissime vite, a volte sono contento non ci sia troppa gente, altrimenti non sapremmo come affrontare la giornata. Te l’ho detto: mi vergogno come un cane solo a pensarla questa cosa“.

Mi alzo, abbraccio il dottor Z. e mi avvio verso l’uscita. “Riforme Lacrime e sangue“, mi dice indicandomi la prima pagina di un quotidiano prima di salutarmi. “Le uniche lacrime che conosco sono di quelli che di sangue hanno davvero bisogno”.

 

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