Un “Virus” nell’immobilismo di una politica italiana che da vent’anni ha un unico difetto: quello di non cambiare mai. “Ci ha provato Silvio Berlusconi con i risultati che tutti conosciamo. Ma chi ha innescato un fenomeno completamente nuovo è il Movimento 5 Stelle“. Racconta così Alberto Di Majo, giornalista de Il Tempo, la decisione di scrivere un libro sul fenomeno targato Beppe Grillo. Si chiama “Virus” (Editori Riuniti), in libreria dal 10 ottobre 2013, ed è il terzo libro dell’autore dopo “Grillo for President”, “Che cos’è, da dove viene e cosa vuole veramente il Movimento 5 Stelle” e Casaleggio,il grillo parlante”. E racconta tra le pagine la capacità di un Movimento nato nelle piazze e senza finanziamenti di entrare nelle stanze del potere. “In quest’ultimo libro”, spiega Di Majo al fattoquotidiano.it, “ho deciso di raccogliere le centouno parole che meglio sintetizzano la realtà grillina. Da acqua a euro, passando per hacker, leader e Casaleggio, fino ad arrivare a V Day e Zombie. “Ho fatto un percorso nell’universo a 5 Stelle cercando di recuperare le loro parole, quelle che si dicono tra attivisti e quelle che usano per chiamare il mondo della politica che piano piano stanno cominciando ad assaggiare”.

Un linguaggio quello a 5 Stelle fatto di termini forti usati come strumento di cambiamento e denuncia. A volte anche parole a sproposito capaci di generare incomprensioni e brutte figure. Ci sono le uscite di Vito Crimi e Roberta Lombardi, primi capigruppo gettati in pasto alla stampa e pure le azioni di proteste, le proposte di legge e le conquiste. Di Majo nel suo libro “Virus”, esamina da vicino la genesi e lo sviluppo di un gruppo finito all’improvviso nei corridoi del Transatlantico tra potere e riflettori. “Io non credo ci siano stati errori politici del Movimento 5 Stelle“, racconta, “dopo aver militato una vita contro i partiti politici, non avrebbero mai potuto fare un’alleanza o un patto con la vecchia politica”. Anche se, dice, resta una grande contraddizione: “Per contare, in questo sistema politico, diventa quasi necessario scendere a compromessi. E il rischio del Movimento è proprio quello di essere troppo marginalizzato in seguito al suo comportamento”. 

Una storia di quasi successo e con qualche ombra. “Resta”, continua Di Majo, “un franchising politico dove il simbolo è in mano al leader che lo dà e lo toglie a seconda dei comportamenti. Senza dimenticare che c’è una disciplina interna troppo legata alle dinamiche di partito. E non c’è spazio per il dissenso”. Nell’analisi di Di Majo, l’obiettivo del Movimento sarà quello di emanciparsi dalla figura dei leader che da lontano controlla ancora la politica del gruppo: “Non sono sicuro riusciranno ad emanciparsi. Di una cosa però sono certo: il Movimento continuerà a crescere e a ottenere sempre più consensi”.

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