Dicono grazie i 57 consiglieri regionali (ex e attuali) indagati in Campania. I 57 indagati in Sardegna. I 14 nel Lazio, Batman compreso. La novantina di consiglieri (soprattutto ex) indagati in Lombardia. La ventina di consiglieri del Friuli. I 52 del Piemonte. La manciata di consiglieri in Liguria. La dozzina in Basilicata. I dieci della Calabria. E quelli che potrebbero finire nel registro degli indagati nelle Marche, in Emilia Romagna, in Sicilia. Tutti i quasi 300 Fiorito d’Italia stanno già cominciando ad attaccare palloncini e festoni e a prendere fiato per animare le lingue di Menelik. Insieme a loro stapperanno qualche bottiglia di spumante anche coloro che fanno giusto parte del Parlamento che nei prossimi mesi si troverà a votare i provvedimenti di clemenza, amnistia o indulto o entrambi, “suggeriti” dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. All’esordio – a marzo – erano 37 i parlamentari coinvolti in inchieste o processi. A questi, nel corso dei mesi, se ne sono aggiunti una decina. Tra questi Giulio Tremonti (eletto con la Lega) e Antonio Azzollini (Pdl) o Francantonio Genovese e Maria Gullo (Pd), ma anche Edmondo Cirielli (ex Pdl, nel frattempo passato a Fratelli d’Italia) e due parlamentari di Scelta Civica, Aldo Di Biagio e Angelo D’Agostino. Anche loro potranno presentarsi al proprio seggio alla Camera o al Senato per schiacciare il tasto per dire che sì, le pene vanno cancellate di tot anni e – perché no – i processi devono morire lì, e buonanotte. Non avrà, invece, questo piacere Silvio Berlusconi: quando e se amnistia o indulto arriveranno a Palazzo Madama (cioè almeno all’inizio del 2014) il Cavaliere sarà già decaduto ed è anche possibile che nel frattempo la Cassazione avrà determinato definitivamente la sua interdizione dai pubblici uffici legata alla condanna nel processo Mediaset (4 anni per frode fiscale).

L’indulto già potrebbe essere motivo per rallegrarsi per chi è sotto inchiesta o è a processo. L’amnistia – non ci sarebbe neanche il bisogno di dirlo – sarebbe il massimo della vita, visto che oltre alla pena cancella anche il reato e quindi sopprime il processo: come se non fosse successo niente, a posto così. In un Paese che parla ormai da anni – e senza peraltro riuscirci – di taglio alla spesa pubblica come unico percorso che può portare a una speranza di rilancio economico, sarebbe un notevole colpo di spugna per decine di esponenti politici di tutti i partiti. Nei casi di peculato (solitamente contestato nelle inchieste aperte in tutta Italia per gli usi impropri dei fondi destinati ai gruppi consiliari regionali) resterebbe – eventualmente – “l’obolo” da restituire allo Stato per le possibili sentenze dei giudici delle varie sedi della Corte dei Conti. In certi casi consiglieri, deputati e senatori non solo potrebbero non dover espiare alcuna pena in caso di condanna, ma potrebbero non varcare neanche la soglia del tribunale.

Lo scandalo delle Regioni: da Renzo Bossi alla festa dei maiali
Nel caso degli scandali nelle Regioni l’unico ad aver pagato (un po’) resterebbe quindi proprio il solo Fiorito – er Batman di Anagni – che per le sue spese private con i soldi pubblici è stato già condannato in primo grado a 3 anni e 4 mesi e soprattutto finì in carcere per un’ordinanza d’arresto. E sì che in questi anni il distacco tra politica e cittadini è nato proprio da episodi come questi. C’è un movimento che ha raccolto un quarto delle preferenze dei votanti in particolare dopo scandali come quelli nel Lazio, in Lombardia, in Piemonte. C’è chi si comprò una sega circolare, chi una Jeep, chi il libro di Paolo Guzzanti Mignottocrazia. E ancora: spazzolini da denti personalizzati, cartucce da caccia, viaggi e vacanze, cure di bellezza, dolciumi, gratta e vinci. Il libro della memoria recente – che finirebbe nel falò del perdono parlamentare – racconta ancora oggi di Renzo Bossi che si fece rimborsare una lattina di Red Bull e della festa dei maiali organizzata da un consigliere regionale del Pdl, Carlo De Romanis, tanto orgoglioso della sua finta tunica da antico romano che volle sfoggiarla insieme all’allora presidente della Regione Renata Polverini e con altri amici, mascherati da maiali.

Indagati e condannati eletti a febbraio
Nel giorno dell’insediamento i parlamentari sotto processo o sotto inchiesta erano 37. Tra loro c’erano (e ci sono) i berlusconiani Antonio Angelucci, editore di Libero e imputato per associazione a delinquere e truffa ai danni del sistema sanitario nazionale; Luigi Cesaro, ex presidente della Provincia di Napoli e indagato per associazione camorristica; l’ex presidente della Puglia Raffaele Fitto, condannato in primo grado a 4 anni per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio; l’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni, imputato per associazione a delinquere e corruzione; Paolo Romani, indagato per peculato e istigazione alla corruzione; Daniela Santanchè, indagata per turbamento e interruzione di funzione religiosa; Renato Schifani, indagato per concorso esterno alla mafia, con richiesta di archiviazione; Denis Verdini, indagato per bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere (Credito cooperativo fiorentino), concorso in corruzione (appalti G8), truffa allo Stato (da editore del Giornale di Toscana), associazione per delinquere (P3). Rinviato a giudizio assieme a Marcello Dell’Utri per bancarotta e truffa. Tra gli eletti leghisti spiccano il senatore Umberto Bossi (condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla maxi-tangente Enimont e per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera e soprattutto indagato per truffa allo Stato per i soldi al figlio Renzo) e il collega ex ministro Giulio Tremonti, indagato per finanziamento illecito nell’affaire sulla casa dell’ex parlamentare Pdl Marco Milanese. Nel Pd ci sono Bruno Astorre, Umberto Del Basso De Caro e Francantonio Genovese (indagati per abuso d’ufficio) e Nicodemo Oliverio (imputato per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale aggravata) e Andrea Rigoni (condannato in primo grado a 8 mesi e poi prescritto in appello per lavori abusivi nella sua villa). Nell’Udc portava la bandiera il segretario Lorenzo Cesa (condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata, reato prescritto).

I “nuovi” indagati in Parlamento
All’insediamento in Parlamento solo Scelta Civica e il Movimento Cinque Stelle erano arrivati “senza macchia”. I gruppi montiani tuttavia sono rimasti immacolati giusto il tempo di sedersi: in questi 7 mesi sono stati indagati Aldo Di Biagio (inchiesta per associazione a delinquere per una presunta megatruffa ai danni di Inps e del dicastero della Giustizia) e Angelo D’Agostino (tra i molti indagati per reati che, a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione nella vicenda Axson, società che certificava l’idoneità delle aziende a partecipare alle gare pubbliche).

A questi si è aggiunto innanzitutto Edmondo Cirielli (Fratelli d’Italia), famoso per aver dato il nome a una legge (quella che ha abbassato i termini di prescrizione) che poi lui stesso ha disconosciuto pubblicamente: ora infatti si chiama “ex Cirielli”. Il parlamentare ex An è accusato di corruzione aggravata e abuso d’ufficio aggravato per scambio politico-mafioso: avrebbe beneficiato dei favori e dell’interessamento di un pregiudicato legato alla “Nuova Famiglia” per fare incetta di tessere nel 2011, nell’ambito dello scontro interno nel Pdl con Mara Carfagna

La prima deputata del nuovo Parlamento a essere indagata fu invece Maria Gullo (Pd): è accusata di falso perché nel 2011, a pochi mesi dalle comunali alle quali era candidata, avrebbe dichiarato – mentendo, secondo i magistrati – di essere residente a Patti, in un’abitazione di proprietà del padre (ex vice sindaco). L’ultimo di cui si ha notizia è invece Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio del Senato, inquisito per una presunta maxifrode da 150 milioni per la costruzione del nuovo porto di Molfetta, cittadina di cui era sindaco. Francesco Scoma (parlamentare siciliano del Pdl) è indagato per corruzione per aver ricevuto, secondo la Procura di Palermo, 26mila euro in viaggi, contributi per spese elettorali e biglietti per lo stadio.  Francesco Scoma. Infine un indagato per voto di scambio aggravato dalle modalità mafiose: Pietro Aiello (Pdl) per il quale la Dda di Catanzaro aveva chiesto anche l’arresto (ma il gip non l’ha firmata).

Le pronunce del Consiglio europeo
L’Italia è il Paese in cui a sovraffollare le celle non sono certamente i “colletti bianchi“. Solo alcuni mesi fa il Consiglio europeo nelle raccomandazioni spedite all’Italia ribadiva la necessità di una riforma della prescrizione che sega i processi per reati contro la Pubblica amministrazione: soprattutto concussioni, peculati, truffe e e malversazioni ai danni dello Stato. “Occorre dar seguito alla legge anticorruzione del novembre 2012 – si leggeva – e vi è margine per migliorare ulteriormente l’efficacia della repressione della corruzione, in particolare agendo sull’istituto della prescrizione, caratterizzato attualmente da termini brevi”. E non fu la prima volta che l’Unione europea chiese all’Italia una legislazione più efficace contro la corruzione. E l’intervento sulla prescrizione è una delle 22 raccomandazioni rivolte al nostro paese già nel 2009 dal Greco (il Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa). Molti processi a politici e funzionari corrotti, rileva il Greco, finiscono in niente perché il reato si estingue prima della sentenza definitiva. Così i responsabili la fanno franca e questo diffonde una sensazione di impunità. Come noto l’Italia non può certo vantare dati incoraggianti sotto il profilo della lotta alla corruzione. Il nostro Paese secondo l’ultima classifica mondiale di Transparency era scivolato dal 69esimo al 72esimo  rispetto al 2011, rimanendo dietro a Ghana, Romania e Brasile, mentre tra i paesi membri dell’Unione Europea, era terzultimo, davanti alle sole Bulgaria e Grecia.

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