La violenza, all’interno di una relazione affettiva, non è un problema di coppia. Parliamo di un aspetto delicato, ma verso cui bisogna dare un messaggio chiaro, altrimenti il rischio è quello di rinforzare i meccanismi di minimizzazione con cui “vittima” e “carnefice” affrontano la questione e che le operatrici e gli  operatori del settore conoscono fin troppo bene.

Gran parte del lavoro clinico con gli autori e le vittime punta alla presa di coscienza che il comportamento violento è categoricamente responsabilità di chi lo mette in atto. Con questo non voglio affermare che nella coppia non ci siano altre problematicità e aspetti conflittuali, ma che vanno distinti e trattati separatamente e solo in un secondo momento. Prioritario deve essere, sempre e comunque, la sicurezza del membro della coppia che subisce il maltrattamento.

Molte donne che arrivano ai centri antiviolenza, non di rado, chiedono un intervento sul compagno perché è lui l’autore del maltrattamento e questo ha la sua disarmante logicità. Fermo restando il supporto che è necessario loro dare è ovvio che si risolve il problema solo andando alla radice.

Le linee guida per lo sviluppo di programmi di intervento con uomini perpetratori di violenza domestica (European Daphne II Project 2006 Work with Perpatrators of Domestic Violence in Europe-WWP) descrivono infatti le consulenze e le terapie di coppia come potenzialmente pericolose. Tutti gli approcci che si fanno carico contemporaneamente della donna e dell’uomo sono considerati negativamente perché:

 – evitano di attribuire la responsabilità del comportamento violento all’autore, rischiando di far passare il messaggio che è la vittima e/o il rapporto ad essere la causa del maltrattamento;

– possono incentivare l’abuso dando all’autore un senso di sostegno rispetto alle sue azioni e possono far sentire sicure le vittime di dare informazioni che però potrebbero essere usate contro di loro dal partner in seguito;

 – sottovalutano la disparità reale di potere tra i membri della coppia, mettendo la donna in posizione di svantaggio. 

Proviamo semplicemente ad immaginare con che stato d’ animo possa parlare una donna di fronte ad un operatore che la invita a raccontare e a sentirsi sicura di poterlo fare con accanto l’ uomo che, una volta arrivati a casa, può reagire nello stesso identico modo con cui ha reagito tante altre volte ossia insultando, minacciando,picchiando.

Una violenza nella violenza, questa però perfettamente evitabile con un minimo di conoscenza del problema e delle dinamiche relazionali in atto ed ecco perché è importante fare sempre tesoro delle esperienze delle realtà già avviate e non improvvisarsi sulla base di conoscenze generiche, magari ottime come presupposti  generali, ma, come sto cercando di evidenziare, rischiosissime se calate in determinate situazioni.

Nel mio lavoro con gli uomini autori di violenza non è stato raro trovarmi di fronte a persone che avevano avviato dei percorsi di coppia in precedenza, ma che avevano poi abbandonato perché non risolvevano la conflittualità e nello specifico, ovviamente, la conflittualità violenta. Solo il focalizzarsi del lavoro sul comportamento violento da loro attuato e sulla assunzione di responsabilità in proposito ha permesso un cambiamento  tale da far sentire più sicura la donna di potersi esprimere perché era lei a sentirlo e non la situazione creatasi a richiederlo e questo ha sbloccato nuove criticità che potevano essere trattate in modo maggiormente funzionale ed equilibrato.

Sottolineo quindi che non sto sostenendo che non ci siano degli aspetti conflittuali e relazionali che hanno bisogno di un sostegno e di un intervento più mirato, ma che questi sono negativi se prima non ci si è focalizzati sulla violenza e quindi se prima non siamo sicuri che il maltrattamento si è realmente interrotto con un uomo in grado di esprimersi senza fare paura ed una donna in grado di fare altrettanto senza provarla.

La comunicazione che dobbiamo far passare deve essere univoca e nitida ed è per questo che ripeto: la violenza, all’interno di una relazione affettiva, non è un problema di coppia, ma della parte che la agisce.

 

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