Da vent’anni quasi 70 mila detenuti nelle prigioni italiane sono ostaggio della politica. Da quando Berlusconi, proprio per i suoi guai giudiziari (oltre che per meglio accudire alcuni suoi affari nel settore dei media indissolubilmente legati a certi privilegi che solo con la gestione diretta della cosa pubblica si possono garantire) entrò in politica e gradualmente se ne appropriò, ogni proposta di riforma della giustizia si è impantanata nei suoi conflitti di interessi. Di volta in volta, e sempre nella contingenza del processo incalzante, si trattava di salvare l’indiscusso dominus della politica o qualche alto esponente di questo o quello schieramento.

Una mole di ricorsi, rinvii, impedimenti e manfrine ha intasato le aule di giustizia; i Governi si sono spesi in d.d.l. e decretazioni d’urgenza di dubbia costituzionalità; il Parlamento si è bloccato su leggine e finte riforme, giunte e commissioni impelagate su argomenti assurdi; i vari Presidenti della Repubblica, ognuno secondo la propria sensibilità, hanno fatti enormi sforzi per mantenere un ruolo di suprema garanzia degli assetti costituzionali; la Corte Costituzionale è stata subissata di ricorsi e “lodi” vari, costretta a lavorare ogni volta sotto un’attenzione spasmodica. Nel contempo, riflessi grotteschi ci hanno reso ridicoli anche davanti alle istituzioni europee e internazionali.

Si è sempre e solo preso (e perso) tempo, per evitare o almeno allontanare il giorno del giudizio. In un marasma indicibile, gli unici interventi legislativi arrivati in porto hanno riguardato particolarissime norme procedurali, a volte utilizzabili in una sola occasione e poi disapplicate. Mai un intervento che avesse il respiro di una riforma, che pure campeggiava in tutte le campagne elettorali dei diversi schieramenti.

La destra, unita e disinnescata intorno al suo capo, ha dovuto abbandonare le sue istanze di ordine e giustizia, lasciando sfogare gli istinti della base forcaiola in interventi schizofrenici che andavano a colpire solo gli ultimi, i diseredati, i deboli. La sinistra, laddove è sopravvissuta, ha dovuto sacrificare la propria tradizione garantista per l’esigenza di non fare troppi favori agli avversari. Così ci ritroviamo ancora con il Codice penale elaborato dal ministro Rocco in piena epoca fascista, cui si è accavallato un inestricabile groviglio di norme che rende impossibile l’orientamento verso un’interpretazione uniforme e coerente.

Negli ultimi anni l’aumento dell’immigrazione, che nell’incertezza della legge ha dato vita a un aumento della criminalità, ha creato un esplosivo cocktail nelle carceri malate di sovraffollamento, disservizio, promiscuità, condizioni igieniche a volte al limite del trattamento disumano. A ciò si aggiunga che, con la politica dei tagli alla spesa per fronteggiare i buchi nei conti pubblici mal gestiti da una classe dirigente incompetente e corrotta, la mancanza di fondi e le carenze di personale hanno peggiorato la qualità dei servizi.

Oggi sembra accendersi un barlume di speranza: da un lato ci sono le scadenze (già prorogate) fissate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; dall’altro, con la posizione giuridica di Berlusconi che si va definendo, sembra avvicinarsi la riforma su misura che gli eviti il carcere. Si aspettano qualcosa i detenuti, con le loro famiglie: calcolando un minimo di tre stretti congiunti ciascuno, siamo a quota 210 mila persone. Ma il discorso si può estendere a tutto il sistema della giustizia, fatto di magistrati, avvocati, forze dell’ordine, operatori che ruotano intorno a corti e penitenziari, il cui lavoro è oggi pesantemente compromesso. E se vogliamo, più in generale si aspettano qualcosa tutti quegli italiani che soffrono dell’assenza non solo di una politica della giustizia, ma di una qualunque politica economica e sociale che riesca a riportare l’Italia al passo con il resto del mondo che in questi anni ha vissuto trasformazioni profonde. In fin dei conti, come titolava il Fatto Quotidiano qualche giorno fa, siamo 59.999.999 di ostaggi dei capricci e delle malversazioni di un pregiudicato.

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