L’Iva è aumentata dal 21 al 22 per cento. Quale sarà il conto per le famiglie italiane? Per non perdersi nel balletto di cifre che subito è partito, meglio fare i calcoli con i dati ufficiali Istat. Il risultato finale è molto inferiore a quanto indicato da alcune associazioni dei consumatori.

Francesco Daveri* (lavoce.info)

Cosa dice l’Istat

Sugli effetti economici dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento è partito un balletto delle cifre ansiogeno. Secondo il Codacons “è in arrivo una stangata fino a 349 euro per famiglia; i consumi andranno giù del 3 per cento e si prevede un’ecatombe per il commercio”. Per la Cgia di Mestre a subire il colpo saranno soprattutto “i prodotti del Made in Italy, l’asse portante del nostro manifatturiero. In ultima analisi ad essere colpite saranno soprattutto le piccole imprese”. Mancano solo le cavallette. Di annunci allarmistici non si sente proprio bisogno nei giorni della nuova crisi di governo al buio, proprio quando imprese e famiglie, durante l’estate, avevano cominciato a recuperare un po’ di fiducia.
Per non lasciarsi andare all’allarmismo, meglio provare a fare qualche conto con dati ufficiali. Sulla base dei dati Istat (banca dati Istat, “spesa media mensile delle famiglie”), le famiglie italiane hanno speso 2.419 euro al mese nell’anno 2012. Di questi, 468 euro in alimentari e bevande e 1.951 euro in prodotti e servizi non alimentari. L’aumento dell’Iva non colpisce tutti questi beni e servizi, ma solo una parte consistente di questi, pari al 40,7 per cento della spesa media degli italiani. Il 59,3 per cento circa di beni e servizi acquistati dalle famiglie (compresi i fitti figurativi imputati dall’Istat) sono esenti da Iva o soggetti alle aliquote inferiori del 4 e del 10 per cento, aliquote che rimangono invariate a seguito del provvedimento del governo.

Ecco il conto: 114 euro

Si può quindi fare una semplice moltiplicazione per calcolare l’aumento del costo della spesa, nell’ipotesi che l’Iva sia trasferita integralmente sul prezzo di vendita (si noti che alcune catene di distribuzione hanno già annunciato che assorbiranno l’aumento Iva senza caricare i loro prezzi di vendita). L’aumento di spesa che viene fuori è di 114,40 euro (=0,01 * 0,41 * 2419 * 12). In parole, l’Iva è salita di un punto sul 41 per cento della spesa media mensile degli italiani che consumano per dodici mesi all’anno. Totale 116. L’aumento sarà di circa 130 euro al Nord, di 119 al Centro, di 91 nel Mezzogiorno e di 81 euro nelle Isole. Il paniere di consumo del Nord è più ricco di quello del resto d’Italia e così anche l’aggravio di spesa.
Il conto non è zero, e non c’è certo da rallegrarsene, ma la cifra è pari a meno di un terzo di quella gridata dal Codacons e meno della metà di quella citata da altre associazioni di categoria.

*Francesco Daveri insegna Scenari Economici presso l’Università di Parma. E’ anche docente nel programma MBA della SDA Bocconi. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, la Commissione Europea e il Ministero dell’Economia. La sua attività di ricerca riguarda la relazione tra le riforme dei mercati, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Il suo libro più noto è Centomila punture di spillo (scritto con Carlo De Benedetti e Federico Rampini, Mondadori 2008). Scrive sul Corriere della Sera. Segui @fdaveri su Twitter oppure su Facebook

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