Fino a mercoledì 25 settembre la parola d’ordine, amplificata e  rilanciata da tv e grandi testate all’unisono era “l’impegno a contenere le polemiche”, a raffreddare lo scontro tra i partner delle larghe intese per “rafforzare la stabilità” dell’esecutivo mentre Letta a Wall Street faceva il suo spot sull’affidabilità economica della “nuova” Italia.

In meno di 24 ore il Berlusconi “romano” dopo “i 55 giorni peggiori della sua vita” nei quali, anche se sembra il contrario, avrebbe perso 11 Kg, “1 per ogni mese di carcere che mi vogliono dare” riporta alla casella di partenza del suo gioco ininterrotto dal ’94 ad oggi il Paese e le istituzioni che, al di là delle finalità, lo hanno colpevolmente assecondato.

Il ritornello che ha ripetuto ai suoi scudi umani è che le toghe rosse di MD, la “Spectre giudiziaria” oggetto della sua ventennale propaganda paranoica lo “vuole escludere dalla storia” e lo “vuole sbattere in carcere” dimenticando che per molti grandi uomini il carcere è stato una dura occasione per rimanere indelebilmente nella storia. 

Il delirio eversivo del partito di  Berlusconi stretto a parole come un sol uomo al capo con lo slogan “siamo tutti Silvio, dimissioni in massa” è manifestamente finalizzato all’estorsione del “salvacondotto” declinato con sprezzo del ridicolo in “agibilità politica”, “personale” e financo “storica” stando al discorso della sala della Regina che ha suscitato la standing ovation dei gruppi parlamentari pidiellini.

Napolitano, primo destinatario del tentativo di estorsione, ha trovato in extremis, troppo in extremis, le parole adeguate per respingere quella che Fabrizio Cicchitto ha definito, in stile eversivo “moderato” da navigante di lunghissimo corso, un attestato di “solidarietà militante” per la grande vittima della magistratura politicizzata. Stando agli aggiornamenti forniti dalla “colomba” Schifani, per smentire che si tratti solo di annunci senza seguito, 87 senatori su 91 avrebbero rimesso nelle sue mani le lettere di dimissioni in vista del voto sulla decadenza in giunta  fissato per il 4 ottobre. Alla Camera tutti avrebbero presentato le dimissioni in blocco.

Poco importa che le dimissioni di massa siano al di fuori dell’ordinamento come le dimissioni a termine e che ad ogni dimissionario debba subentrare il primo dei non eletti. Nel Pd è tutto un interrogarsi stupefatti sull’arcano motivo di “una simile virata” e si moltiplicano le richieste di un chiarimento “definitivo” come se il loro partner di larghe intese fosse una new entry uscita a sorpresa dalle urne nell’inverno del 2013.

Forse i nomi di Sergio De Gregorio e Walter Lavitola per il capogruppo Pd alla Camera Roberto Speranza e anche per un esponente di spicco come Luigi Zanda, che pure si era espresso chiaramente sull’ineleggibilità di Berlusconi, sono solo da relegare alle cronache giudiziarie secondo il comodo adagio che le vicende giudiziarie devono rimanere totalmente scollegate da quelle politiche.

Ma “l’inspiegabile virata” di quello che fino a qualche mese fa si atteggiava a “padre nobile” di un Pdl che avrebbe scelto il suo leader con le primarie è dettata semplicemente dal gabinetto di guerra con il collegio difensivo degli avvocati-legislatori che devono aver allertato il loro cliente su possibili richieste di arresto sia da Napoli sul fronte della compravendita dei senatori che da Bari nella cosiddetta inchiesta  sulle escort.  

Secondo i pm baresi Berlusconi avrebbe indotto Giampi Tarantini a mentire in un’ aula giudiziaria in cambio di oltre mezzo milione di euro e di una raccomandazioni anche presso l’allora onnipotente Bertolaso. C’è agli atti un rapporto della Gdf che smonta tutta la sua difesa e che conferma l’incontro con il capo della protezione civile. Se le tesi della procura che ha chiuso le indagini lo scorso 20 luglio e ha chiesto al gip di fissare l’udienza preliminare venissero accolte l’imputazione per Berlusconi sarebbe ancora una volta corruzione in atti giudiziari. E se al co-indagato Lavitola venisse voglia di parlare compiutamente per Berlusconi si metterebbe molto male.

Nel suo ennesimo videomessaggio intimidatorio contro la Magistratura dove dichiarava di rimaneva attaccato come una cozza alle larghe intese e contemporaneamente rifondava Fi come scudo politico per l’impunità aveva esplicitamente ribadito le sue motivazioni per la discesa in campo, rinnovate dal “colpo di stato” della sentenza Mediaset: non andare in galera e difendere la roba.

Lui è sempre lui, il suo programma è sempre quello, la levatura dei suoi portavoce e delle sue amazzoni pure: la Santanché taccia di arroganza ed indebita interferenza Napolitano mentre Brunetta e Schifani fanno il pieno delle dimissioni di massa alla Camera e al Senato.

Se Napolitano ha finalmente capito chi e che cosa ha avallato e non ha motivi personali per mantenere la carica, questo sembrerebbe il momento buono per dimettersi con dignità, dato che i partiti ai quali si era rivolto, Pdl in primis, hanno tradito manifestamente le ragioni per le quali aveva detto di accettare il secondo settennato.

Quanto a Letta junior che asserisce di “non essere Jo Condor”,  se non presiede un governo per conto dello zio prenda l’iniziativa di apportare con decreto  modifiche reali di minima decenza al Porcellum o, molto meglio,  ripristini  il Mattarellum, come molti costituzionalisti ritengono fattibile,  e consenta al paese di tornare a votare in condizioni non vergognose.  

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